Alla scoperta dell’Omeopatia

Alla scoperta dell’Omeopatia

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Scritto da: La redazione di Top Doctors
Editato da: Serena Silvia Ponso il 17/10/2023

La nascita dell’Omeopatia si situa a cavallo tra fine Settecento-primo Ottocento e giunge a compimento nel 1810, quando il medico tedesco Samuel Hahnemann pubblica la prima edizione del suo Organon. Da allora si è molto discusso sull’efficacia di questa pratica

Come è nata e come funziona l’Omeopatia?

Fino al 1796 si pensava che il chinino (derivato dalla china peruviana) agisse come antimalarico per via del suo “effetto astringente sullo stomaco”. S. Hahnemann, per nulla convinto di questa tesi, decise di sperimentarlo su stesso.

Pur essendo in perfetta salute, notò che, a seguito dell’assunzione, insorgevano tutti i sintomi della malaria: proprio quei sintomi che il chinino avrebbe dovuto curare ma che, al contrario, recedevano non appena ne sospendeva l’assunzione. Da ciò Hahnemann dedusse che la sostanza che nel soggetto sano induce una serie di sintomi patologici è la stessa sostanza in grado curare le medesime manifestazioni nel soggetto malato. Questa ipotesi fu in seguito ripetutamente testata su numerosi volontari e confermata per molte altre sostanze di origine minerale, vegetale ed animale: sulla base di queste osservazioni sperimentali, rigorosamente verificate, Hahnemann riconobbe nel “principio della Similitudine” il cardine su cui fondare una nuova metodologia diagnostica e terapeutica, ovvero l’Omeopatia.

Cosa si intende esattamente per “similitudine”?  

La Similitudine è un principio antichissimo, che accomuna tutti i sistemi medici dell’antichità e che oggi viene riscoperto alla luce delle più moderne acquisizioni scientifiche. Similitudine non è sinonimo di uguaglianza, ma di “condivisione” e “compatibilità”: due (o più) oggetti, persone, fenomeni, etc. sono simili se hanno qualcosa in comune che li unisce, rendendoli compatibili o complementari. Basti pensare al sistema delle trasfusioni, dei trapianti o al concetto di “risonanza”, che trova applicazioni in campi come la fisica o la musica. Il primo a parlarne in Occidente fu Ippocrate (IV sec. A.C.), secondo cui quando non si conosce la causa di un disturbo, è lecito ricorrere a ciò che lo ha provocato. Ippocrate, però, non aveva approfondito il concetto di “dose farmacologica”. Fu Paracelso il primo a servirsene (sola dose facit venenum), ma è con Hahnemann che la posologia trovò una definitiva e sistematica applicazione. Infatti, i disturbi prodotti da dosi tossiche o ponderali possono essere guarite da dosi infinitesimali. Grazie a questa metodologia, quindi, è possibile curare una persona non solo a livello fisico, ma nel suo insieme. Un paziente che si rivolge all’Omeopata per una cefalea potrebbe soffrire anche di allergie o di disturbi dell’umore. Lo squilibrio coinvolge tutto l’organismo e può nascere da fattori diversi tra loro: è sulla base di questo principio che il paziente dev’essere trattato.

 

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Può spiegare meglio i concetti di “diluizione” e “dinamizzazione”? In cosa consistono?

Nel corso delle sue sperimentazioni, Hahnemann si accorse che, diluendo progressivamente le sostanze tossiche o i veleni, non solo si evitavano effetti indesiderati, ma era possibile far emergere proprietà curative: in altri termini, l’effetto terapeutico, invece di diminuire, aumentava e addirittura ampliava la sua profondità d’azione. In Omeopatia, infatti, ogni sostanza di origine minerale, vegetale o animale viene sottoposta ad un progressivo processo di diluizione e di dinamizzazione, cioè di scuotimento in mezzo liquido (acqua e alcool), che esalta le proprietà medicamentose della sostanza stessa. Quanto più se ne riduce la componente “materiale”, tanto più se ne libera la componente “energetica”, per cui il raggio d’azione della sostanza si estende dal livello somatico a quello emozionale e mentale.

In cosa si differenziano la terapia omeopatica e quella convenzionale?

La terapia convenzionale si basa fondamentalmente sulla diagnosi di malattia e sulla formulazione di “protocolli terapeutici”, che tendono a trascurare o a sottovalutare le differenze individuali. La terapia omeopatica, invece, pur tenendo conto delle malattie, per essere veramente efficace deve essere “personalizzata” sulla base delle caratteristiche individuali di ogni soggetto: ogni soggetto, infatti, è diverso dall’altro per cui tende a vivere e presentare le proprie affezioni in modo assolutamente “personale”. Inoltre, le malattie di ogni persona non sono mai il frutto di eventi casuali: a ben vedere, fanno parte di un certo tipo di costituzione e del percorso esistenziale di ognuno. Un buon omeopata deve saper riconoscere queste caratteristiche al fine di prescrivere il medicinale più adatto. Ben prima di Hahnemann, infatti, Ippocrate insegnava che esiste il malato, non la malattia.

In quali patologie l’Omeopatia può agire con successo?

In tutte le patologie di tipo “funzionale”, laddove cioè non si sono prodotte lesioni irreversibili: cefalea, asma, dermatite, sindromi allergiche/reumatiche/ginecologiche/pediatriche, etc. In molti casi, tuttavia, è possibile curare o comunque migliorare la qualità di vita anche in molte patologie di tipo lesionale: questo ovviamente dipende dalle capacità e dall’esperienza professionale dell’omeopata. Il campo d’azione privilegiato è rappresentato comunque dalle malattie croniche.

Perché il dibattito sull’efficacia dell’Omeopatia è ancora così acceso?

Perché l’Omeopatia sembra contraddire alcuni capisaldi su cui si basa il metodo scientifico. I detrattori sostengono che i medicinali omeopatici non possono curare perché non contengono niente (“effetto placebo”), ma la verità è ben diversa. Sappiamo, infatti, che i farmaci di sintesi agiscono su base chimica, in virtù di dosaggi più o meno elevati: quanto maggiore è la dose, tanto maggiore è l’effetto. Così si spiegano, da un lato, la loro azione di tipo soppressivo (antibiotici, antidolorifici, etc.) o sostitutivo (ormoni), dall’altro gli effetti collaterali, spesso molto pesanti.

I farmaci omeopatici, invece, agiscono su base biofisica in quanto, oltre una certa diluizione, la componente materiale si dissolve per assumere una configurazione energetica, responsabile dell’effetto clinico finale. In pratica, le dosi “Infinitesimali” omeopatiche, benché “deboli” dal punto di vista farmacologico, sono molto potenti in termini di azione perché stimolano le naturali capacità di difesa e di autoregolazione ed al tempo stesso sono esenti da rischi proprio perché estremamente diluiti.

 

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Vi sono dati sulla diffusione dell’Omeopatia?

Solo in Italia vi fanno ricorso almeno 15.000 medici e quasi 9 milioni di pazienti (Rapporto Eurispes Italia 2017). In Europa e nel mondo si contano, rispettivamente, circa 130 e 800 milioni di utenti. In India, Paese leader, vi sono 215 ospedali, 7.000 ambulatori e decine di centri di ricerche. Anche l’O.M.S.nel suo rapporto (2016) continua a suggerire i Paesi membri di implementarla nei propri Servizi Sanitari: dopo il Regno Unito, il Belgio, la Germania, l’Austria, ora anche la Svizzera ha scelto questa strada.

È vero che non esistono studi e ricerche tali da validare l’Omeopatia?

È assolutamente falso. Basti pensare che dal 1950 al 2013 sono stati pubblicati 188 studi in doppio cieco (82 positivi, 10 negativi) e 8 metanalisi di cui solo 2 ad esito negativo, benché molto discutibili. Tutti questi lavori sono pubblicati in letteratura e chiunque può consultarli. Se l’Omeopatia fosse veramente un placebo, si sarebbe estinta da tempo. Continua, invece, a raccogliere consensi da oltre 220 anni, sia nei Paesi sottosviluppati che in quelli più avanzati. Laddove si investe in ricerca e formazione, l’Omeopatia è in grado di crescere e prosperare. È ciò che ci auguriamo possa avvenire anche qui perché, come sappiamo, la ricerca in particolare richiede ingenti fondi che al momento solo la grande industria può mettere a disposizione.

In conclusione, possiamo considerare l’Omeopatia una scelta affidabile?

Certamente. L’Omeopatia è un sistema medico efficace, sicuro ed economico, dato non trascurabile di questi tempi: infatti, come risulta da numerosi studi, può consentire un risparmio sulla spesa pubblica fino al 40%. Ovviamente non è la panacea, ma può garantire ottimi risultati, insieme ad una migliore qualità di vita. Inoltre può interagire positivamente con la medicina convenzionale, riducendo il consumo di farmaci ed abbattendo gli effetti collaterali, anche in molte malattie molto gravi. Affinché possa esprimere tutto il suo potenziale, è necessario incentivare la ricerca, promuovere una corretta formazione dei professionisti ma soprattutto avviare adeguate campagne di informazione presso il pubblico, evitando luoghi comuni e pregiudizi che non giovano a nessuno.

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