Alzheimer: perché è importante la diagnosi preventiva

Alzheimer: perché è importante la diagnosi preventiva

Editato da: Valerio Bellio il 06/04/2023

La perdita di memoria e della capacità di pensare e ragionare può rappresentare un campanello d’allarme, specialmente per i soggetti anziani, poiché può essere manifesto della Malattia di Alzheimer. Nonostante siano stati compiuti passi avanti nella comprensione dei meccanismi della malattia, non vi è ancora una terapia realmente efficace; tuttavia, come afferma il Prof. Lorenzo Pinessi, esperto in Neurologia a Torino, gli esami attualmente disponibili permettono di diagnosticare tempestivamente la malattia e, quindi, personalizzare la cura

Cosa si intende per Morbo di Alzheimer?

Per malattia di Alzheimer si intende una grave forma di demenza primaria caratterizzata da patologia degenerativa del sistema nervoso centrale e rappresenta la forma più comune di demenza. Il quadro clinico comporta deficit cognitivo-mnesici e funzionali e alterazioni comportamentali, che prevedono a una progressiva e inarrestabile compromissione dell’autonomia del paziente. Si distinguono forme precoci o early onset (50-60 anni) e forme tardive o late onset (dopo i 60-65 anni).

Con il progressivo incremento della spettanza di vita e quindi della popolazione senile, la malattia di Alzheimer è divenuta sempre più uno dei principali problemi socio sanitari. Ha una prevalenza (numero di casi nella popolazione generale) minore dell’1% nei soggetti di età inferiore ai 60-65 anni, tuttavia presenta un incremento esponenziale con l’età, superando il 20-25% nei soggetti con più di 80 anni.

Quali sono i fattori di rischio del Morbo di Alzheimer?

L’età e il sesso femminile rappresentano i due principali fattori di rischio per la malattia. Vi sono poi altri fattori di rischio sia genetici che ambientali. Tra i primi vi è, in particolare, la presenza dell’allele e4 del gene APOE che aumenta notevolmente il rischio di contrarre la malattia (late onset). Altri fattori di rischio includono i traumi cranici, i bassi livelli di folati e vitamina B12, l’iperomocisteinemia, l’ipertensione arteriosa, il diabete, le dislipidemie, la storia familiare del paziente, il basso livello di istruzione e la scarsa attività fisica. Non è raro vedere forme di demenza mista, vascolare o multi-infartuale e degenerativa (malattia di Alzheimer).

Alzheimer: quali sono i sintomi?

L’esordio della malattia è spesso subdolo con deficit cognitivi-mnesici modesti e con alterazioni lievi della personalità e del comportamento del paziente, che possono indurre facilmente in errore. Successivamente compaiono deficit della memoria a breve termine, sempre più gravi, associati a calo degli interessi, indifferenza e disorientamento spaziale e temporale.
Compaiono altresì difficoltà nell’usare strumenti di uso quotidiano, nel vestirsi, lavarsi, camminare, ecc.

Una delle numerose caratteristiche associate all’Alzheimer è l’anomia (difficoltà a denominare correttamente cose, oggetti, persone, luoghi). Generalmente i ricordi del passato remoto sono mantenuti. La fase iniziale o Mild Cognitive Impairment (MCI), che rappresenta una condizione clinica a metà tra il normale invecchiamento e la demenza, molto spesso evolve verso la malattia di Alzheimer. È proprio in questa fase che è utile individuare marker clinici neuropsicologici biologici e neuroradiologici al fine di diagnosticare precocemente l’eventuale sviluppo in malattia di Alzheimer. Accanto alla sintomatologia deficitaria cognitiva molto frequentemente compare una sintomatologia psico-comportamentale, definita Behavioral and Psychological Symptoms of Dementia (BPSD), caratterizzata, a seconda dei casi, da depressione, apatia, agitazione, ansia, iperattività e disturbi psicotici (allucinazione e deliri).

La malattia peggiora progressivamente ed in modo inarrestabile. Compaiono alterazioni del sonno (ritmo sonno-veglia), riflessi primitivi (suzione, prensione). Infine il paziente diventa completamente dipendente per qualsiasi attività della vita quotidiana e in relazione ai propri bisogni personali. Non riesce quasi più a esprimersi né a camminare, diventa completamente apatico e indifferente ad ogni sollecitazione. La rigidità muscolare si fa più severa portando il paziente ad un quadro di forte riduzione dei movimenti (tetraparesi). Immunodepressione, fenomeni infettivi (specie broncopolmonari) portano all'exitus. Tra gli esami di approfondimento vi è la risonanza magnetica encefalica con studio dei volumi ippocampali, la TC, e in casi selezionati, PET e SPECT. Test neuropsicologici adeguati sono utili così come la valutazione dei biomarkers liquorali (beta-amiloide, proteina tau e fosfo tau) al fine di approfondire la diagnosi differenziale con altre demenze.

Quali sono le cure tradizionali previste per l’Alzheimer?

Il trattamento del morbo di Alzheimer è alquanto difficile. Non esiste ad oggi una terapia specifica realmente efficace. Poiché è stato dimostrato che nei soggetti Alzheimer vi è una forte carenza di neurotrasmissione colinergica, le terapie del passato e anche quelle più recenti miravano e mirano a ristabilire un’adeguata presenza del neurotrasmettitore acetilcolina a livello encefalico. Si usano pertanto farmaci inibitori della colinesterasi (enzima che demolisce l’acetilcolina) che hanno dimostrato qualche beneficio specie nelle fasi iniziali di malattia. Sono utilizzati inoltre i farmaci (psicofarmaci) che riducono i suddetti disturbi comportamentali. Sono in via di sperimentazione (Trials clinici) altri farmaci, ma non attualmente disponibili.

Neurologia a Torino