Cisti aracnoidee: di cosa si tratta?

Cisti aracnoidee: di cosa si tratta?

Editato da: Alice Cattelan il 04/04/2023

Per cisti aracnoidea si intende uno spazio contenente liquido cefalorachidiano, ossia il liquido che circola dentro e fuori il cervello e il midollo spinale, delimitato da aracnoide, cioè una delle tre meningi che avvolgono il cervello e che si trova tra la pia madre e la dura madre. Grazie all’intervento del Prof. Luca Massimi, specialista in Neurochirurgia, in questo articolo spieghiamo cosa sono, cosa comportano e come è possibile intervenire

Dove possono svilupparsi le cisti aracnoidee?

Le cisti aracnoidee possono formarsi in vari punti dello spazio intracranico e spinale. Le aree più comuni sono:

  • La fossa cranica media, regione temporale del cervello, corrispondente grosso modo alla “tempia”;
  • La regione soprasellare, sopra la sella turcica che contiene la ghiandola ipofisaria;
  • La convessità cerebrale, cioè la superficie del cervello;
  • I ventricoli cerebrali, ossia le cavità contenute nel cervello stesso.

Quali sono le cause?

Le cisti aracnoidee sono delle malformazioni congenite, il meccanismo di formazione non è noto ed è molto dibattuto. Si tratta di uno sdoppiamento dell’aracnoide che si forma durante la vita intrauterina e che tende ad aumentare nel feto e poi nel neonato fino ai primi mesi/anni di vita. Non è possibile, quindi, prevenirle. Talora, si includono tra le cisti aracnoidee anche quelle risultanti da processi infiammatori, come la meningite o emorragie cerebrali, nonostante si tratti di malattie diverse con natura, prognosi e trattamento differente dalle “vere” cisti aracnoidee.

Perché è importante non sottovalutare i sintomi?

Le cisti aracnoidee crescono nei bambini molto piccoli, ciò perché questi ultimi hanno il cranio morbido e le fontanelle aperte per consentire la crescita del cervello. Proprio per questo motivo, le cisti aracnoidee possono raggiungere anche dimensioni ragguardevoli (5-10 cm di diametro) senza creare sintomi per tutta la vita del paziente: in questi casi, vengono scoperte per caso,ad esempio eseguendo una TAC del cranio dopo un trauma cranico. Questa evenienza è tipica delle cisti della fossa cranica media, o cisti “silviane”.
Quando sintomatiche, il quadro clinico dipende dalla sede in cui sono localizzate.

  • Convessità cerebrale: macrocrania cioè crescita eccessiva della testa, cefalea ovvero mal di testa, rigonfiamento di parte del cranio;
  • Regione soprasellare: idrocefalo, cefalea, disturbi ormonali, vomito, fenomeno degli occhi di bambola;
  • Intraventricolari: idrocefalo, cefalea, vomito;
  • Lamina quadrigemina: disturbi nei movimenti degli occhi, pubertà precoce, idrocefalo;
  • Fossa cranica posteriore: tremori, vertigini, nistagmo, acufeni, disturbi dell’equilibrio, paralisi del nervo faciale.

In passato, si riteneva che le cisti aracnoidee producessero anche epilessia ma tale associazione non è stata mai dimostrata in maniera convincente. In casi eccezionali, la cisti può andare incontro a rottura dopo un trauma: ciò può non procurare sintomi oppure può dare cefalea intensa e sonnolenza (se si associa una emorragia). Le cisti aracnoidee possono essere diagnosticate con ecografia cerebrale (nei bambini sotto l’anno di età) oppure con la TAC del cranio o, meglio ancora, con la risonanza magnetica (RM) dell’encefalo. Quest’ultimo esame definisce con precisione sede, dimensioni e caratteristiche della cisti e permette di evidenziare eventuale sofferenza del cervello adiacente. La RM è usata anche per tenere le cisti sotto controllo nel tempo.    

È possibile curare le cisti aracnoidee?

La scelta terapeutica è basata sulle caratteristiche della cisti e del paziente. Esistono quattro possibilità:

  • Nessun trattamento, questa opzione è destinata ai pazienti senza sintomi e con cisti che rimangono stabili nel tempo. Data la eccezionalità della rottura, non c’è alcuna indicazione ad operare un paziente asintomatico per prevenire le complicanze della rottura perché esse sono meno frequenti di quelle di un intervento;
  • Fenestrazione con tecnica endoscopica, che consiste nell’aprire la cisti e metterla in comunicazione con uno spazio cerebrale in cui il liquido in essa contenuto possa defluire. Il vantaggio di questa tecnica consiste nell’uso dell’endoscopio, ossia di uno strumento che consente un intervento mini-invasivo (l’operazione è realizzata attraverso una piccola incisione cutanea e un singolo foro nel cranio). Lo svantaggio è che non è possibile in tutti i tipi di cisti (le tipologie migliori sono quelle soprasellari e intraventricolari, poi quelle della lamina quadrigemina e della fossa cranica media);
  • Fenestrazione con tecnica microchirurgica, il principio è lo stesso della tecnica precedente ma, invece dell’endoscopio, è utilizzato il microscopio operatorio. Richiede, quindi, un lembo cutaneo e un piccolo sportello osseo per essere eseguita. E’ ottimale per le cisti della convessità o quando non può essere eseguita la tecnica endoscopica;
  • Derivazione cisto-peritoneale che consiste nel far defluire il liquor della cisti nel peritoneo (la membrana che avvolge i visceri addominali) attraverso un piccolo tubo connesso con una valvola. Questa tecnica, anche se efficace, non è molto vantaggiosa (le complicanze sono frequenti) per cui è usata solo in caso di fallimento delle precedenti.      
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