L'amenorrea per riconoscere e curare l'anoressia

L'amenorrea per riconoscere e curare l'anoressia

Editato da: TOP DOCTORS® il 13/04/2024

Non è facile per il medico trovare un fattore motivante che induca le giovani pazienti affette da disturbi alimentari a richiedere le cure necessarie. Queste non colgono i danni che si procurano, ma perseguono la magrezza come una condizione che dà loro sicurezza, autostima e sensazione di controllo. Più profondamente coltivano sentimenti di indipendenza da ogni bisogno e, al contempo, si assicurano l’attenzione delle figure significative, per quanto questa attenzione sia connotata da angoscia e preoccupazione. Portare l’attenzione sull’amenorrea, che si accompagna con costanza all’aggravamento di questi quadri, permette di aprire una breccia nell’indifferenza di queste pazienti verso le cure. Ne parla il Dott. Furio Ravera, Psichiatra a Milano presso il Centro La Ginestra

 

 

1) Che cos’è l’amenorrea?

I disturbi dell’alimentazione nei soggetti di sesso femminile sono caratterizzati dalla forte frequenza di condotte eliminative (vomito, esercizio fisico, lassativi e diuretici). Il diffondersi dell’uso della cocaina presso gli adolescenti, poi, ha avuto una funzione di mascheramento dei tratti bulimico-anoressici, consentendo un facile controllo dell’appetito a scapito di stati di intossicazione e di alterazioni psichiche conseguenti all’uso della sostanza.

L’amenorrea, ossia l’assenza delle mestruazioni, è la conseguenza di uno stato di sofferenza ipofisario-gonadico, che si esprime fatalmente in osteoporosi. La perdita di osteociti è irreversibile e genera una patologia ossea (osteoporosi) che all’attuale stato delle conoscenze non può essere più modificata.

 

2) In che modo essere informate sull’amenorrea può aiutare le pazienti con disturbi alimentari?

Nella nostra esperienza clinica, il dato dell’amenorrea risulta minimizzato, o peggio mimetizzato, dall’assunzione della pillola anticoncezionale, che offre l’illusione di un ciclo ancora presente senza modificare l’alterazione che si genera a livello osteocitario.

La corretta informazione sulle conseguenze dell’amenorrea è risultata essere un fattore sensibilizzante per indurre le giovani pazienti a correggere il disturbo dell’alimentazione, con il goal di ripristinare il ciclo mensile. Le famiglie dovrebbero riconoscere l’amenorrea come un importante fattore di rischio, la causa di un possibile danno irreversibile, e avviare una valutazione dello stato fisico delle giovani pazienti.

 

3) Quando è necessario il ricovero? E a cosa viene sottoposta la paziente durante il ricovero?

Quando l’indice di massa corporea (BMI) scende sotto il valore di 16, è indicato il ricovero, in quanto lo stato di denutrizione comincia ad essere molto serio. L’obiettivo del ricovero è il ripristino di uno schema alimentare che consenta, in un tempo ragionevole, di raggiungere un BMI sopra il valore di 18. La ripresa del ciclo mestruale (che necessita di alcuni mesi di nutrizione corretta) indicherà il raggiunto equilibrio.

Il ricovero, però, rappresenta un percorso irto di ostacoli perché, per quanto la paziente abbia accettato il ricovero e manifestato più o meno genuinamente una preoccupazione per le sue condizioni fisiche, ad ogni pasto si rinnoverà dentro di lei la paura del cibo, l’ansia di ingrassare e di perdere il controllo del peso. A nulla valgono i richiami al buon senso e gli incitamenti: la paziente si trova a fronteggiare una situazione emotivamente simile a quella di una persona che teme di mangiare un cibo avvelenato ed è costretto a farlo. Il nutrizionista deciderà con la paziente una dieta che possa tollerare e che corregga lo stato di denutrizione. È importante, infatti, eseguire un’accurata valutazione dello stato di salute della paziente, con particolare attenzione alla possibile presenza di un versamento pericardico.

 

4) Quali sono le tecniche utilizzate per il trattamento dell’anoressia?

L’équipe terapeutica deve validare le paure della paziente: i suoi sentimenti non possono essere svalutati come se fossero sciocchezze, in quanto solo un riconoscimento empatico alle sue emozioni può aiutare a raccogliere informazioni sulla genesi del disturbo.

 

Si inizia, quindi, a raccogliere dalla paziente le informazioni circa gli eventi più dolorosi della sua vita, quando si è sentita abbandonata, quando si è sentita senza valore, quando si è sentita sola ed incompresa. Vanno individuati con delicatezza i traumi che la paziente ha subito. Un modo molto efficace di fare questo lavoro è nella combinazione di tre interventi: EMDR, Mindfulness e DBT.

La DBT, Dialectical Behavioral Therapy, è un trattamento ad orientamento cognitivo, organizzato secondo seminari di apprendimento che permettono al paziente di imparare a:

  • Riconoscere le proprie emozioni e modularle;
  • Riconoscere il ruolo delle emozioni nell’attivazione di un comportamento;
  • Apprendere le caratteristiche delle contingenze nelle quali ci si trova immersi e dotarsi di destrezze per affrontarle più efficacemente;
  • Distinguere fra i fatti concreti ed i pensieri;
  • Apprendere la capacità di osservare e descrivere per comunicare correttamente circa il mondo interno.

La DBT prevede la pratica della Mindfulness. Si tratta di una forma di meditazione, messa a punto da Jon Kabat-Zinn (biologo molecolare fondatore della Clinica per la Riduzione dello Stress), per ridurre lo stress e aumentare la consapevolezza del proprio corpo, delle proprie emozioni e dei propri pensieri, sviluppando con questi ultimi un rapporto più flessibile.

L’EMDR è una tecnica messa a punto da Francine Shapiro, psicologa statunitense, inizialmente impiegata per risolvere situazione traumatiche. Nel tempo il suo impiego è stato esteso al trattamento dei disturbi di personalità e delle forme dissociative. L’EMDR permette, attraverso la stimolazione tattile o la stimolazione dei movimenti oculari, di sbloccare memorie traumatiche che possono essere alla base dello sviluppo della malattia. Tali traumi agiscono attraverso rigide credenze ed emozioni negative che dominano il comportamento delle pazienti.

 

5) Cosa evidenzia, solitamente, l’esame psicologico nelle pazienti affette da disturbi alimentari?

L’esame psicologico evidenzia, nella maggioranza dei disturbi della condotta alimentare, disturbi di personalità o forme dissociative. In tali pazienti, infatti, convivono parti diverse, tra cui quella di un “dittatore” (la parte malata che impone alle altre un comportamento ossessivo di controllo e di rinuncia del cibo) che non permette alle altre parti di esprimersi.

 

6) A cosa viene dedicata la giornata durante il ricovero?

Alcune pazienti, prima dei pasti, avvertono una stretta allo stomaco che ostacola ulteriormente l’alimentazione. Un intervento con EMDR sulla sensazione corporea, seguita da una breve pratica di Mindfulness, può sciogliere questa stretta, rendendo più facile l’alimentazione alla paziente.

In altre fasi della giornata, invece, si affrontano eventi difficili recenti e/o eventi difficili del passato. Tutti i giorni la pratica costante della Mindfulness aiuta ad incrementare la consapevolezza della paziente circa i suoi vissuti. Le sessioni dedicate alla DBT, poi, permettono alle pazienti di sviluppare una maggiore padronanza delle proprie intenzioni e delle proprie azioni e di vedere con maggiore lucidità dentro di sé.

La guarigione è un processo molto delicato, durante il quale ci si deve immedesimare nella paura delle pazienti di ingrassare e di perdere il controllo. Solo così si può aiutarle a guarire.

 

Editor Karin Mosca

Psicologia a Milano