La stimolazione cerebrale profonda: cos’è?

La stimolazione cerebrale profonda: cos’è?

Editato da: Antonietta Rizzotti il 23/03/2023

Il Prof. Domenico Servello, esperto in Neurochirurgia, ci spiega cos’è la stimolazione cerebrale profonda, come si effettua e per quali pazienti è indicata 

Cos’è la stimolazione cerebrale profonda?

La stimolazione cerebrale profonda (DBS - Deep Brain Stimulation) è una procedura mininvasiva che consiste nel posizionamento in strutture profonde del cervello di elettrodi collegati ad un generatore di impulsi, normalmente localizzato in una tasca sottocutanea nel torace.

Il primo intervento di DBS con generatore totalmente impiantabile è stato effettuato nel 1987 su un paziente affetto da tremore essenziale. In seguito, tale metodica è stata utilizzata soprattutto nella malattia di Parkinson complicata, divenendo ben presto una valida alternativa terapeutica per questa patologia.

La sicurezza e la reversibilità di questa procedura hanno fatto sì che negli ultimi 15 anni le indicazioni si siano estese ad altri disturbi del movimento (distonia e tremore essenziale), all’epilessia e, più recentemente, a disturbi comportamentali quali la sindrome ossessivo-compulsiva, la depressione maggiore e la sindrome di Tourette, anche se in queste ultime due patologie l’uso della DBS è ancora off-label.

Come si esegue la stimolazione cerebrale profonda?

La DBS viene effettuata per via stereotassica, ossia attraverso un “casco” che permette di ottenere una diagnostica per immagini del cervello. Sfruttando i tre piani cartesiani nello spazio (x, y e z), questa metodica permette di ottenere le coordinate di qualsiasi punto all’interno della scatola cranica e di raggiungerlo con un approccio mininvasivo (può essere sufficiente un foro di trapano nella teca cranica di appena 3 mm di diametro).

La pianificazione dell’intervento avviene fuori dalla sala operatoria, basando la scelta del target sui risultati della Risonanza Magnetica e della Tomografia Assiale Computerizzata. Viene, quindi, programmata la traiettoria per raggiungere il bersaglio, evitando vasi sanguigni e solchi corticali in modo da limitare i rischi di complicanze. L’evoluzione tecnologica e di imaging degli ultimi anni hanno reso questa procedura sempre più precisa e sicura e la programmazione del pace-maker sempre più adattabile al caso di ogni paziente.

L’impianto viene di solito effettuato in anestesia locale (non avendo il cervello terminazioni nervose, infatti, è un evento assolutamente indolore), cosa che permette innanzitutto il monitoraggio elettrofisiologico, cioè la visualizzazione dell’attività elettrica delle diverse strutture cerebrali.

Importantissima è la fase di stimolazione intraoperatoria, che permette la valutazione dell’efficacia del trattamento (immediata su alcuni sintomi del Parkinson quali tremore e rigidità) e l’assenza di effetti collaterali dovuti alla stimolazione stessa.

In un secondo momento, gli elettrodi vengono collegati al generatore di impulsi, collocato in una tasca sottocutanea nel torace.

Chi può essere sottoposto a stimolazione cerebrale profonda?

Tra tutte le patologie trattate con la DBS, solo per la malattia di Parkinson esiste un test predittivo che consente di individuare il candidato ideale. Questi deve avere una diagnosi di malattia di Parkinson idiopatico da almeno 5 anni, deve rispondere alla terapia con L-dopa, non avere deficit cognitivi e avere un’età non superiore ai 70 anni (pur con delle eccezioni). La Risonanza Magnetica dell’encefalo non deve evidenziare marcati quadri di atrofia, vasculopatia o eccessiva dilatazione del sistema ventricolare.

La stimolazione del nucleo subtalamico permette di controllare i principali sintomi della malattia di Parkinson, quali il tremore, la rigidità, la lentezza dei movimenti ed i movimenti involontari dovuti ai farmaci. Inoltre, la stimolazione permette una riduzione della terapia medica fino al 50-60%.

Purtroppo, nelle altre patologie in cui viene utilizzata la DBS, manca ancora un test predittivo: tra i criteri di inclusione alla procedura, oltre alla gravità dei sintomi, è fondamentale la refrattarietà ai trattamenti disponibili.

Il futuro della stimolazione cerebrale profonda

La differenza la può fare la tecnologia. Già oggi sono disponibili generatori di impulsi ricaricabili con una durata di vita di 10 e più anni, che evitano la sostituzione del generatore di impulsi esausto ogni 3-4 anni. Da pochi mesi, inoltre, sono disponibili elettrodi direzionali, capaci di orientare il flusso di corrente in una determinata direzione e di ridurre i rischi di effetti collaterali. Il vero goal, però, sarebbe la miniaturizzazione del generatore di impulsi: questo consentirebbe di poterlo posizionare in una nicchia della teca cranica in prossimità degli elettrodi, riducendo le componenti del sistema impiantabile e i rischi di infezione.

Per quanto riguarda le indicazioni, la sfida è rappresentata, più che dai disordini del movimento, dal trattamento dei disturbi comportamentali. Basti pensare alla Depressione Maggiore che, secondo un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2020 costituirà la prima causa al mondo di inabilità, o alla malattia di Alzheimer, che oggi colpisce quasi 30 milioni di persone al mondo.

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