Come affrontare l’ipertrofia prostatica benigna

Come affrontare l’ipertrofia prostatica benigna

Editato da: Giulia Boccoli il 13/04/2024

L’ipertrofia prostatica benigna è una patologia molto comune negli uomini sopra i 60 anni, ma a causa della poca informazione sul tema spesso essi tendono a non effettuare i controlli che possono prevenire l’avanzamento di tale condizione. Il Prof. Massimo Maffezzini, esperto in Urologia a Genova, spiega come affrontarla

Urologia e informazione

 L’Urologia si occupa delle patologie che interessano l’apparato urinario maschile e femminile oltre a quello genitale maschile che necessita di soluzioni chirurgiche. Tuttavia la maggior parte delle persone non sa che la formazione urologica non rientra tra gli insegnamenti obbligatori nel corso di laurea di Medicina e Chirurgia, quindi può accadere che un medico neolaureato non possegga numerose conoscenze urologiche di base, non avendo mai effettuato ad esempio un’esplorazione rettale per la valutazione della prostata o gestito un paziente con una comune colica renale. È forse anche per questi motivi che si nota una carenza di informazione soprattutto tra la popolazione maschile su argomenti centrali dell’Urologia, come la prostata e le patologie ad essa correlate.

Che cos’è l’ipertrofia prostatica benigna?

Con il termine ipertrofia prostatica benigna (IPB) si intende l’ingrossamento non canceroso della prostata che con il tempo può comprimere e schiacciare l’uretra, indebolendo la vescica che perde così la capacità di svuotarsi completamente: il restringimento dell’uretra e la ritenzione urinaria causano sintomi come la necessità frequente di urinare, difficoltà a iniziare la minzione, sensazione di incompleto svuotamento della vescica e presenza di piccole quantità di sangue nelle urine. L’ipertrofia prostatica benigna ha un incidenza alta soprattutto tra gli uomini sopra i 60 anni, che dovrebbero effettuare visite periodiche al fine di tenere sotto controllo la patologia.

I diversi approcci terapici

Come per altre patologie che interessano i differenti organi e tessuti del corpo umano, anche per l’ipertrofia prostatica benigna esistono diversi approcci non solo terapici ma anche di come il dottore affronta e spiega al paziente la patologia e i suoi trattamenti. Se il paziente presenta una IPB allo stadio iniziale, ovvero quando i risultati dell’uroflussometria evidenziano segni di ostruzione modesta, il residuo post minzione all’interno della vescica è minimo (50-60ml) e la necessità di alzarsi di notte inferiore alle due-tre volte, ecco quali potrebbero essere i possibili approcci:

  1. Approccio icastico-fenomenologico. Il medico non propone al paziente nessun tipo di terapia al momento, consigliando solamente di effettuare un’ulteriore visita a distanza di un anno per controllare l’evoluzione della patologia: lo specialista, affinché il paziente capisca meglio, può spiegargli che i farmaci per l’Ipertrofia Prostatica Benigna sono indicati per lo stadio più avanzato della patologia.
  2. Approccio naturalistico-classificatorio. Alcuni urologi, basandosi sul fatto che il paziente abbia sentito la necessità di rivolgersi prima al medico di base e in seguito allo specialista, ritengono opportuno classificarlo come paziente da trattare: nonostante lo stadio precoce della patologia, prescriveranno alcuni farmaci come ad esempio gli Alfa-litici o gli inibitori 5-alfa-reduttasi.
  3. Approccio “proattivo”. Alcuni urologi possono consigliare cure non convenzionali nell’intento di limitare gli effetti collaterali della patologia che si trova ai primi stadi.

Quanto sono importanti i controlli periodici?

I controlli sono molto importanti non solo perché possono controllare l’avanzamento della patologia, ma anche perché è possibile verificare se le terapie farmacologiche abbiano dato gli effetti desiderati.  Solitamente i vantaggi della terapia persistono per 24-30 mesi, ma in alcuni casi è possibile che i farmaci non siano efficaci fin dagli inizi della cura, o che l’effetto sfumi gradualmente nel tempo. Con una semplice visita di controllo è possibile cambiare in tempo la terapia: nel caso in cui i farmaci non diano risultati, infatti, il muscolo che costituisce la vescica (detrusore) produrrà uno sforzo continuo ogni qualvolta il paziente svuoterà la vescica e con il passare del tempo le fibre muscolari aumenteranno di spessore fino a che, quando l’ipertrofia raggiunge l’apice, si deterioreranno, dando luogo a problemi piuttosto invalidanti per il paziente. 

 

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