Pacemaker: l’evoluzione del “segna passi” del cuore

Pacemaker: l’evoluzione del “segna passi” del cuore

Editato da: Antonietta Rizzotti il 12/11/2019

Il pacemaker è un’invenzione che risale al 1960. Il suo ideatore, l’ingegnere Wilson Greatbatch, mentre studiava le aritmie cardiache, involontariamente, commettendo un errore, si rese conto che questo dispositivo elettrico, oltre che a registrare le aritmie, era in grado di dare degli stimoli a livello cardiaco. Nel luglio del 1960 registrò il brevetto di questa sua scoperta, attualmente ancora presente e ampiamente utilizzato. Ne abbiamo parlato con il Prof. Francesco Vetta, esperto in Cardiologia a Roma

A cosa serve il pacemaker?

Il pacemaker, attualmente, è molto differente dal suo prototipo iniziale, visto che, in aggiunta alla sua iniziale funzione di intervenire se la frequenza cardiaca fosse scesa al di sotto dei valori programmati, è in grado, con i suoi sempre più sofisticati programmi, di individuare e registrare delle aritmie cardiache, come la fibrillazione atriale, le tachicardie ventricolari etc. riuscendo inoltre, in modo intelligente, a ridurre allo stretto necessario la percentuale di stimolazione nelle camere cardiache. Il Illustrazione di un cuore in plasticapacemaker è, in aggiunta, in grado di garantire, grazie a specifici sensori, il sostegno per un adeguato incremento della frequenza cardiaca al di sopra del limite prestabilito, in occasione di una aumentata attività fisica. Nel corso degli ultimi anni si è sviluppata anche una tecnologia che, basandosi sull’impianto di un elettrocatetere nel ventricolo destro e di un altro sulla superficie della parete laterale del ventricolo sinistro, permettono di contrastare l’evoluzione dello scompenso cardiaco attraverso un riacquisito coordinamento della contrattilità parietale dei ventricoli, tipicamente persa in questa condizione patologica. Negli ultimi anni si stanno sviluppando tecniche nuove, come il pacemaker senza fili, oltre che software sempre più precisi ed altamente affidabili. Ogni anno, in Italia, vengono impiantati circa 60.000 pacemaker, un numero sempre più in crescita.

Quali sono i rischi legati ad un impianto di pacemaker?

L’impianto di un pacemaker è un’operazione eseguibile in anestesia locale, ovvero con il paziente non addormentato. Attraverso un incisione di circa 4 cm all’altezza della clavicola, vengono portati fino al cuore gli elettrocateteri, successivamente fissati con dei punti di sutura in seta.

L’intervento ha una durata di circa 30-40 minuti e l’incidenza di complicanza è piuttosto bassa, oscilla tra l’1 e il 3%.

Le principali problematiche legate ad un impianto di pacemaker possono essere rappresentate da:

  • Comparsa di ematomi
  • Dislocazione degli elettrocateteri
  • Manifestazione di pneumotorace

Si tratta comunque di complicanze che non compromettono la vita del paziente. Presso il nostro Centro, dove utilizziamo sempre device di ultima generazione, siamo molto attenti ai percorsi di cura e di assistenza al paziente, riducendo, in questo modo, il rischio di complicanze.

Cardiologia a Roma