Protesi di ginocchio: quando si usura la cartilagine

Protesi di ginocchio: quando si usura la cartilagine

Editato da: Antonietta Rizzotti il 14/12/2020

La protesizzazione del ginocchio consiste nella sostituzione delle superfici articolari usurate con superfici artificiali, di lega d’acciaio sul femore e titanio con l’interposizione di polietilene sulla tibia. Ne parla il Dott. Francesco Cancilleri, esperto in Ortopedia e Traumatologia a Roma

Curiosità sulla protesizzazione del ginocchio

Rispetto all’anca, il ginocchio ha un’anatomia più complessa perché si tratta di un’articolazione poco congruente che funzionadolore al ginocchio grazie ai 4 legamenti: crociato anteriore e posteriore, collaterale mediale e laterale. Inoltre, si distinguono tre compartimenti: femoro-tibiale mediale, laterale e femoro-rotuleo.

Nell’esecuzione dell’intervento lo strumentario è fondamentale ma il chirurgo deve adoperarlo per realizzare la corretta posizione tra la componente protesica del femore e della tibia e il corretto bilanciamento dei legamenti collaterali. Per l’impianto di una protesi totale i crociati vanno sacrificati.

Quando il danno cartilagineo è limitato a un solo compartimento, è indicata la protesi monocompartimentale.

Quali sono le tipiche condizioni che richiedono questa procedura?

La principale condizione che richiede la protesizzazione è l’artrosi, ovvero l’usura della cartilagine. Essa può esser conseguenza di un difetto dell’asse del ginocchio, varo o valgo. Anche una lesione legamentosa non trattata, inducendo un’instabilità articolare, può determinare l’usura precoce della cartilagine. Una frattura, ad esempio del piatto tibiale, può determinare un’artrosi. La cartilagine si può danneggiare anche in corso di malattie infiammatorie come l’artrite.

Qual è l’obiettivo dell’intervento?

Obiettivo dell’intervento è restituire una libertà articolare senza dolore.

Anche in questa tipologia d’intervento si sono fatti grandi progressi, soprattutto nel disegno delle protesi, nella tecnica chirurgica, nelle tecniche di controllo del dolore postoperatorio. Anche le tecniche di Blood Management hanno diminuito la necessità di emotrasfusioni ma in misura minore rispetto all’anca.

La fissazione della protesi all’osso si realizza immediatamente con la cementazione.

La riabilitazione inizia dopo poche ore dall’intervento ma è più delicata rispetto alla protesi dell’anca e richiede una maggiore aderenza e volontà da parte del paziente.

Per il pieno recupero si richiedono tre o quattro settimane.

Come per l’anca, su questo intervento gravano due rischi non annullabili del tutto neppure con la prevenzione farmacologica: trombosi venosa profonda e infezione. Fumo e obesità accrescono questi due rischi. Gli altri rischi eventuali sono in funzione delle patologie concomitanti.

Ortopedia e Traumatologia a Roma