Depressione: guarire è possibile

Depressione: guarire è possibile

Editato da: Jennifer Verta il 13/04/2024

Il Dott. Massimo Fontana, esperto in Psicologia a Roma, ci parla dell’approccio moderno alla depressione, una delle patologie in costante aumento tra la popolazione di tutto il mondo.

Che cos’è la depressione?

Secondo le ultime ricerche, in Italia più di 2,8 milioni di persone soffrono di depressione, il disturbo mentale più diffuso nella popolazione. Più di 11 persone su 100 corrono inoltre il rischio di esserne colpite nel corso della vita. È più frequente nelle donne rispetto agli uomini e può insorgere a qualsiasi età, anche se la fascia più colpita sembra essere quella tra i 25 e i 45 anni. Fondamentale è non scambiare per depressione le normali fluttuazioni dello stato d’animo e dell’umore che fanno parte della vita quotidiana o le reazioni di tristezza agli eventi dolorosi che normalmente possono incorrere nel corso della vita (separazioni, lutti, tracolli economici e così via). Si parla di depressione patologica quando la tristezza e l’abbattimento psico-fisico sono molto forti e prolungati, persistenti nel tempo e non spiegabili soltanto come semplice reazione ad eventi scatenanti. Tristezza, perdita di interessi, disturbi del sonno, mancanza di energie, affaticamento, sentimenti di indegnità e di colpa, difficoltà di concentrazione, perdita di peso e, nei casi più gravi, pensieri di morte, sono i sintomi più comuni che caratterizzano una fase depressiva. Esistono tuttavia diverse forme di depressione, che può manifestarsi in modo acuto, deteriorando rapidamente il funzionamento e le capacità della persona per un certo periodo di tempo (mesi, se non curata) per poi scomparire, oppure prolungarsi nel tempo, accompagnando e condizionando gran parte della vita, in maniera più o meno grave.

Quali sono le forme e i sintomi della depressione?

In psichiatria si distingue il “disturbo depressivo maggiore”, caratterizzato dalla comparsa, nel corso della vita, di uno o più episodi o fasi di depressione della durata di almeno due settimane (ma che possono prolungarsi per diversi mesi, se non addirittura anni, se non curate), che alterano la qualità della vita della persona limitandone fortemente le capacità lavorative e sociali, da forme meno gravi come il “disturbo depressivo persistente” (o “distimia”), che è cronico e di lunga durata (almeno due anni, secondo i criteri ufficiali) ma con sintomi più sfumati e minori limitazioni di vita. Molte ricerche scientifiche accreditate identificano questa forma cronica con quello che viene chiamato “disturbo depressivo di personalità”, perché le caratteristiche cliniche riguardano più i modi abituali di pensare, sentire, comportarsi e mettersi in relazione agli altri, che non un’alterazione transitoria dello stato psichico del soggetto. In questi casi la depressione connota il carattere della persona (la sua personalità), con costanti o frequenti sentimenti di inadeguatezza, inferiorità, fallimento, colpa, perdita e abbandono, nonché tendenze all’autocritica e autopunitive, con trascuratezza dei propri stessi bisogni e desideri. Le fasi di depressione maggiore possono anche essere parte di una serie di patologie più complesse, i “disturbi bipolari”, in cui gli episodi depressivi si alternano ad altri di segno opposto, definiti di tipo “maniacale” (o “ipomaniacale, nei casi meno gravi), caratterizzati da euforia, eccitazione, accelerazione del pensiero e conseguenti possibili comportamenti inadeguati e pericolosi per il paziente stesso. Infine, sintomi depressivi possono comparire nel corso di patologie di altro genere, di natura psichiatrica, ma anche di interesse della medicina generale, come nei casi in cui lo scoraggiamento e il pessimismo accompagnano i disturbi d’ansia, oppure l’abbattimento psico-fisico è conseguente ad una malattia endocrina. In questi casi il problema principale non è la depressione, ma la malattia di base che deve essere opportunamente diagnosticata e curata.

Quali sono le cause della depressione?

In passato si contrapponevano due scuole di pensiero. L’una vedeva le cause della depressione a livello biologico, nel cervello, considerando una forte componente ereditaria. L’altra dava importanza solo a cause psicologiche e sociali, cercando le radici del problema nel passato, specialmente durante l’infanzia, periodo in cui si possono verificare circostanze che creano maggiore predisposizione alla vulnerabilità di fronte a situazioni stressanti, come problemi familiari, lavorativi, lutti e perdite. La prima indicava perlopiù l’impiego di psicofarmaci. La seconda si basava al contrario su terapie di tipo psicologico e sociale, come la psicoterapia e il miglioramento dei contesti relazionali. Attualmente, si è superata questa contrapposizione e si è giunti ad una prospettiva chiamata “bio-psico-sociale”, in cui la continua interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali viene vista come determinante per la qualità dello sviluppo di una persona, momento per momento, nel corso dell’intero ciclo di vita. Questo significa che sia una componente ereditaria o biologica, sia l’insieme dei vissuti soggettivi e dei pensieri in relazione agli eventi di vita incidono sulla crescita dell’individuo e, quindi, sono alla base del possibile sviluppo della patologia.

Come vincere la depressione?

Nella maggioranza dei casi, le persone che chiedono aiuto per i sintomi depressivi trovano grande giovamento dalle normali cure che medici e psicologi possono mettere a disposizione. Un problema sociale importante è rappresentato dal fatto che moltissimi pazienti aspettano troppo tempo prima di rivolgersi allo specialista, ritenendosi responsabili dei propri sintomi e considerandoli difetti personali, oppure temendo ingiustificatamente possibili effetti dannosi delle cure: i sintomi stessi della depressione, con il forte pessimismo e il senso di disperazione che li accompagna, possono portare questi soggetti a non immaginare prospettive positive e vie di uscita dai loro problemi. Esattamente il contrario di ciò che il più delle volte avviene una volta che si comincia a ricevere aiuto. Le cure devono essere individualizzate, tenendo conto della specificità dei sintomi e dei disagi di cui il paziente soffre, ma anche del suo stile di vita e dell’insieme dei suoi valori e modi di pensare e di reagire.

I benefici della combinazione di terapia farmacologica e psicoterapia

Le ricerche scientifiche mostrano che l’associazione di terapia farmacologica e psicoterapia ottiene risultati migliori, più rapidi e le ricadute sono minori. Le indicazioni alla terapia farmacologica dipendono anche dalla forma di depressione di cui soffre il paziente. Il disturbo depressivo maggiore, per esempio, risponde più prontamente agli psicofarmaci, rispetto alle forme croniche e con sintomi più lievi e alle depressioni caratteriali. Quando l’episodio depressivo è grave, iniziare con la terapia farmacologica è altamente indicato per poter procedere nella giusta direzione. Bisogna però tenere conto che tutti gli antidepressivi richiedono un periodo di alcune settimane (almeno due) prima di mostrare i loro effetti. Nelle forme croniche e con sintomi più sfumati, i risultati delle terapie farmacologiche sono meno evidenti, ma questo non deve fare escludere un loro possibile impiego. Esistono diverse forme di psicoterapia. Fondamentale è che lo specialista riesca a stabilire con il paziente una buona alleanza di lavoro, spronandolo a partecipare attivamente. Identificare il proprio stato depressivo come un problema che può insorgere nel corso della vita e non come un’inadeguatezza personale e sapere che esso è noto a medici, psicologi e psichiatri, che sanno come riconoscerlo, comprenderlo e intervenire, è il primo passo per uscirne e riprendere contatto con la voglia di vivere.

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