Craniofaringioma pediatrico: una sfida aperta

Craniofaringioma pediatrico: una sfida aperta

Editato da: Claudia Serra il 29/12/2021

Il Dott. Luca Massimi, specialista in Neurochirurgia, ci parla di un tumore molto complesso: il Craniofaringioma pediatrico.

Cos’è un craniofaringioma?

Il craniofaringioma è un tumore biologicamente benigno che origina da residui embrionari, noti come tasca di Rathke e dotto cranio-faringeo, situati vicino alla sella turcica ossia la regione del cranio che ospita la ghiandola ipofisaria, a sua volta sormontata dai nervi ottici (chiasma ottico). 

Pur sviluppandosi all’interno del cranio, non si tratta di un tumore cerebrale bensì di un tumore epiteliale (cioè simile aibambino che dorme tumori della pelle), cosa importante per il suo trattamento. È un tumore relativamente raro, sebbene rappresenti la neoplasia più frequente della regione ipofisaria nei bambini, che cresce lentamente ed eccezionalmente produce metastasi. Ne esistono due varianti: adamantinomatosa (tipica dei bambini) e papillare (comune negli adulti).  

Si tratta dunque di un tumore benigno: perché parla di “sfida aperta”?

Il craniofaringioma è un tumore definibile come benigno se si considerano le sue caratteristiche biologiche e istologiche ma, se si considerano gli aspetti clinici, si tratta di una neoplasia potenzialmente pericolosa e molto difficile da trattare.

La variante adamantinomatosa riassume in sé i motivi di queste difficoltà: raggiunge spesso notevoli dimensioni, superiori a 5 cm di diametro, ed è molto aderente alle strutture vicine, come le vie visive, l’ipofisi, l’ipotalamo, i ventricoli cerebrali e le arterie carotidi. Di conseguenza, esso causa:

  • disturbi endocrinologici, poiché impedisce la corretta secrezione di ormoni da parte di ipofisi e ipotalamo: ritardo nella crescita del corpo e nello sviluppo sessuale, disturbi nell’alimentazione e diabete insipido, ossia l’eccessiva produzione di urine e sete;
  • disturbi visivi, legati al danno sui nervi ottici, quali: riduzione del campo visivo e, talora, abbassamento della vista;
  • mal di testa causato dalle notevoli dimensioni della neoplasia, spesso dovute a grandi cisti, e idrocefalo, quest’ultimo dovuto alla compressione sui ventricoli cerebrali.

Il trattamento chirurgico, soprattutto nelle forme di grandi dimensioni, è reso rischioso dalla vicinanza con organi vitali come l’ipotalamo o le arterie carotidi.      

È possibile vincere la sfida? Come?

Sì, la sfida può essere vinta. Innanzitutto, grazie agli studi che vengono condotti su questo tumore per conoscerne meglio le caratteristiche molecolari. Ad esempio, gli studi sulla proteomica del craniofaringioma. La proteomica è lo studio delle proteine prodotte dai geni di un tumore che ha permesso al team di ricercatori del policlinico Gemelli di capire che il craniofaringioma, come i tumori della pelle, tende a crescere causando un’infiammazione attorno a sé e può essere curato, almeno in parte, usando farmaci antiinfiammatori iniettati nel tumore stesso. In secondo luogo, è fondamentale adottare un trattamento definito “multimodale” per sconfiggere questa malattia.

Facendo un passo indietro, due strategie possono essere adottate contro il craniofaringioma: il trattamento aggressivo, ovvero la rimozione chirurgica completa, oppure il trattamento conservativo, quindi la rimozione chirurgica parziale seguita da radioterapia. La prima opzione è efficace ma ha alto rischio di causare danni permanenti, mentre la seconda è meno rischiosa ma gravata da rischio di ricrescita della malattia.

bambini con le mamme

In cosa consiste il trattamento multimodale?

Il trattamento multimodale consente di usare le varie armi a disposizione in diverse fasi della vita del bambino, ottimizzando il rapporto rischi/benefici. In sintesi, esso può essere così descritto:

  • Iniezione di sostanze anti-infiammatorie all’interno delle cisti del tumore, grazie ad un piccolo catetere posto dentro il tumore e ad un reservoir posizionato sotto il cuoio capelluto del bambino. Questo tipo di cura si usa nei bambini più piccoli, soprattutto se poco sintomatici e/o ben conservati dal punto di vista endocrinologico, nei quali è necessario proteggere la crescita e la maturazione sessuale, con l’obiettivo di guadagnare tempo per le cure definitive. Infatti, la terapia intracistica solitamente ha un effetto transitorio (della durata di mesi o anni);
  • Intervento chirurgico. Esso può essere praticato a cielo aperto, ovvero con apertura del cranio e utilizzo del microscopio operatorio, oppure per via endoscopica, ovvero introducendo appositi strumenti nelle narici e raggiungendo il craniofaringioma passando attraverso il naso e la sella turcica. Questa seconda opzione (endoscopia trans-nasale) ha guadagnato molto spazio anche in età pediatrica poiché elimina la necessità di passare attraverso il cervello ed è poco invasiva. Il suo limite è legato alla difficoltà di trattare craniofaringiomi molto grandi o posti lateralmente alla sella turcica: in questi casi, occorre ricorrere alla tecnica a cielo aperto. È da notare che, nei craniofaringiomi più grandi, entrambe le tecniche possono essere usate nello stesso paziente, in momenti diversi. Questo permette di rimuovere il tumore completamente e in maniera sicura, usando la tecnica endoscopica per la porzione inferiore del craniofaringioma e la tecnica microchirurgica per quella superiore. La chirurgia si usa nei bambini grandi (possibilmente dopo la pubertà) o con sintomi importanti.
  • Radioterapia. Questa opzione, con tutte le sue varianti (conformazionale, radiochirurgia ecc.), è riservata solitamente alle recidive di malattia o a casi particolarmente complessi. Si tende ad usarla il più tardi possibile per via dei possibili effetti collaterali sulle funzioni endocrinologiche e cognitive.

Un ulteriore vantaggio del trattamento multimodale è la sua duttilità: le tre opzioni descritte sopra non sono necessariamente usate in questo ordine ma possono essere adattate alle esigenze del singolo paziente. Ad esempio, un bambino sintomatico può essere trattato con chirurgia transnasale per asportare parte del tumore e poi con iniezione di farmaci antiinfiammatori per ridurre eventuali residui cistici.

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