Protesi totale dell’anca: cosa fare se l’impianto si infetta?

Protesi totale dell’anca: cosa fare se l’impianto si infetta?

Editato da: Marta Buonomano il 08/06/2020

Il Dott. Claudio Pagnuzzato, esperto in Ortopedia e Traumatologia a Milano, nonché Responsabile del Reparto di Chirurgia dell’Anca I presso l’Istituto Ortopedico Galeazzi, ci spiega come bisogna intervenire nel caso di infezione di una protesi d’anca

Protesi infetta: di cosa si tratta?

Si definisce infetta una protesi che viene aggredita dai batteri che, insediandosi (cioè attaccandosi) sulla sua superficie, causano una distruzione dei tessuti attorno all’impianto con una conseguente frequente mobilizzazione dell’impianto.

È un evento molto frequente?

ragazza con fiori sul bacinoL’infezione di una protesi totale dell’anca rappresenta uno dei problemi più complessi in campo ortopedico. Il tasso di infezione può raggiungere anche il 2,5% e poiché il numero di primi impianti sta progressivamente aumentando (attualmente circa 100.000 l’anno) è ovvio che, dato l’ampliamento delle indicazioni (anche in pazienti ultraottantenni) ed il miglioramento delle tecniche chirurgiche e dei materiali, il numero di casi non è indifferente.

È altresì importante ricordare che questi “grandi impianti”, estranei all’organismo, fatti di metallo e plastica o ceramica possono servire ai batteri come superfici su cui attaccarsi e moltiplicarsi. Inoltre, il tessuto che riveste le protesi e che ha subito il danno dell’intervento avrà un alterato apporto di sangue che potrebbe non essere sufficiente per far fronte alle infezioni. In questi casi, se le protesi rimangono ben fissate all’osso, il dolore ed il gonfiore dell’anca rendono necessario un nuovo intervento chirurgico. È utile sapere che una infezione non trattata può divenire cronica e la lotta dell’organismo porta ad un indebolimento del paziente fino a metterlo in pericolo di vita.

Una corretta e tempestiva diagnosi di infezione è particolarmente importante perché aumenta le possibilità di successo.

Quali fattori possono favorire l’infezione di una protesi?

I fattori di rischio possono essere:

  • Legati all’ospite: età avanzata, diabete scompensato, neoplasie, artrite reumatoide, anemie e precedenti interventi sull’anca;
  • Intraoperatori: contaminazione della sala operatoria, dello staff, ematoma della ferita e varie incisioni chirurgiche.

Possiamo distinguere:

  • Infezioni precoci: da pochi giorni a 4 settimane;
  • Infezioni ritardate: da 4 settimane a 24 mesi;
  • Infezioni tardive: oltre i 24 mesi.

Come riconoscere un’infezione della protesi

È molto importante ricordare che il sintomo dolore, anche isolato, deve sempre far pensare ad una possibile infezione. Quando si sospetta un’infezione precoce per la comparsa in sede di ferita di rigonfiamento, arrossamento, dolore, calore, deiscenza della ferita e rialzo termico è consigliabile eseguire:

  • VES, PCR, emocromo con formula;
  • Ecografia per evidenziare una raccolta superficiale o profonda;
  • Puntura articolare per esame chimico fisico (ricordarsi che un esame colturale negativo non esclude un’infezione).

Quando si sospetta un’infezione ritardata o tardiva, invece, è consigliabile eseguire:

  • Scintigrafia scheletrica con Tc 99 (espressione di mobilizzazione della protesi);
  • Scintigrafia con leucociti marcati (espressione di mobilizzazione settica);
  • VES, PCR, emocromo con formula;
  • Puntura articolare per esame colturale;
  • RMN del bacino (espressione di raccolta articolare).

Protesi infetta: cosa fare?

donna con dolore ai fianchiNelle infezioni precoci è consigliabile una riapertura della ferita, un abbondante lavaggio (acqua e disinfettanti), una asportazione accurata del tessuto necrotico, sostituzione (se impianto non mobilizzato) solo di alcuni elementi protesici (inserto e testina) e terapia antibiotica prima a largo spettro poi mirata (all’isolamento del germe) stabilita con l’infettivologo. Il ritardare questa procedura incrementa il numero di fallimenti.

In caso di insuccesso di questo trattamento e nelle infezioni ritardate o tardive si deve eseguire la rimozione della protesi ed il reimpianto di una nuova. Questo intervento può avvenire in un unico atto operatorio (“one-stage”) oppure in due atti operatori distinti (“two-stage”).

Chirurgia one-stage e two-stage: cosa prevedono?

La chirurgia “one-stage”, attualmente meno preferita, prevede la rimozione dell’impianto in toto (se presente anche del cemento), una accurata pulizia, il prelievo (non meno di 5) di campioni per esame colturale ed istologico, il reimpianto di una nuova protesi (se cementata usando cemento antibiotato) e una terapia antibiotica mirata (a largo spettro prima e poi mirata alla risposta dell’esame colturale).

La chirurgia “two-stage”, attualmente preferita, si effettua in due tempi prima la rimozione dell’impianto, una accurata pulizia, prelievi per esame colturale, quindi messa in sede di uno spaziatore antibiotato con la forma della stelo femorale rimosso ed inizio di una terapia antibiotica mirata. Alla normalizzazione dei test di flogosi (non meno di tre mesi). Il secondo intervento consiste nella rimozione dello spaziatore e nuova protesi. Bisogna però ricordare che comunque è consigliabile, durante l’intervento, eseguire nuovamente dei test di flogosi a conferma dell’assenza di infezione altrimenti si deve ricorrere ad un nuovo spaziatore.

La funzione dello spaziatore è quella di mantenere la lunghezza dell’arto, la tensione muscolare, il movimento articolare e di rilasciare, nel focolaio di infezione, antibiotico ad alta concentrazione.

E se non si riesce a trattare l’infezione, o il paziente non può essere operato?

In alcuni casi, in cui l’infezione non viene debellata o le condizioni generale del paziente controindichino l’intervento in uno o due tempi, si procede alla sola rimozione dell’impianto che solitamente, in pochi mesi porta allo spegnimento del focolaio settico. Intervento che però determina un notevole accorciamento dell’arto (circa 6-7 cm) ed una instabilità articolare per cui la mobilizzazione avviene con l’uso di una o due stampelle.

 

Terminando questa breve rassegna sulla protesi d’anca infetta è quindi importante ricordare che certamente l’infezione è una complicanza importante negli impianti protesici, ma che una corretta e precoce diagnosi, un preciso piano terapeutico medico chirurgico che a volte richiede un lungo periodo di trattamento, possono portare ad un buon risultato con ripresa di una ottima qualità di vita.

Ortopedia e Traumatologia a Milano