Carne rossa e cancro: c’è una relazione?

Carne rossa e cancro: c’è una relazione?

Editato da: Gloria Conalbi il 22/02/2023

La questione del collegamento tra carne rossa e cancro è stata a lungo dibattuta tra chi sostiene che la carne sia un pericolo per la propria salute e chi invece è convinto che non vi sia nessun collegamento tra i due. Il Dott. Maurizio Grandi, esperto in Oncologia a Roma, aiuta a fare chiarezza in merito

Studi scientifici e bufale

Navigando in Internet ci imbattiamo spesso in articoli dai titoli accattivanti come “Mangiare 3 noci al giorno riduce il rischio di patologie cardiovascolari” o “500gr di carne rossa alla settimana aumentano la percentuale di sviluppo del cancro”. La maggior parte delle volte, però, questi articoli derivanti da studi scientifici vengono stravolti nel loro contenuto con l’obiettivo di aumentare la visibilità sul web. È una prassi piuttosto abituale nel campo della nutrizione e della salute, vista la rilevanza da queste assunta negli ultimi anni: studi scientifici, raccomandazioni e opinioni di esperti vengono trasformati in grandi bufale.

La ricerca dell’IARC

È il caso dello studio diffuso dall’International Agency for Research on Cancer che rileva una relazione tra la carne rossa e il cancro, pubblicato nell’ottobre del 2015, che inseriva le carni lavorate (wurstel, salsiccia, insaccati) nell’alvo dei prodotti cancerogeni (1) e le carni rosse come potenzialmente cancerogene (2 A). La monografia di 500 pagine è stata resa disponibile solo nel 2018, segnalando che le evidenze erano troppo limitate per considerarle più che una probabile concausa. Non esisterebbero quindi i presupposti affinché la carne rossa sia inserita nel gruppo 2A.

Lo Studio

La ricerca ha preso in considerazione 800 studi che avevano analizzato l’associazione tra il consumo di vari tipi di carne (manzo, vitello, agnello, cavalla, capra, montone) e i loro effetti consecutivi. Degli 800 studi presi in causa, la maggior parte è stata giudicata poco attendibile e solo 14 sono stati giudicati attendibili. Dei 14 solo 7 evidenziavano una correlazione tra eccessivo consumo di carne rossa e tumore del colon-retto; gli altri 7 non individuavano alcun effetto. Ancora più bassa l’incidenza ipotizzata per neoplasie legate agli ormoni (prostata, endometrio, mammella) per quella pancreatica.

Il risultato affermava che il consumo di 50gr al giorno di carne rossa porta, nel corso della vita, a un rischio aumentato di cancro al colon del 17%; 100gr di carne trasformata al giorno (salata, affumicata, essiccata o con conservanti) del 18%.  Nel rapporto, in realtà, non sono state indicate soglie di sicurezza, se non il suggerimento di un impiego moderato di 50 grammi settimanali di carne lavorata.

Se “100 grammi di carne rossa al giorno aumentano del 18% le possibilità di cancro del colon”, con termine di paragone 0, il rischio sarebbe quello di 500 grammi di carne cotta alla settimana, equivalente a 800 grammi di carne cruda, impossibile da raggiungere in Italia tra pesce e verdura. Meno del fumo, che moltiplica il rischio di cancro del polmone per 25 volte e di carcinoma del colon retto, del 18%, oltre che, in misura minore, del pancreas o della prostata.

Quali sono dunque i rischi?

Va inoltre distinto il rischio assoluto da quello relativo: se un individuo non ha familiarità con il cancro al colon o per il cancro in generale, svolge attività fisica e non fuma ma consuma frequentemente insaccati, il rischio di ammalarsi rimarrà comunque molto basso.

Nello studio non sono stati quasi affrontati due cofattori fondamentali:
- Le filiere, se non come invito a supervisionarla, dall’allevamento (per limitare gli inquinamenti ambientali) alla conservazione;
- La cottura. Teoricamente, bruciare una bistecca di bovino o un petto di pollo, un pesce o un preparato a base di proteine di origine vegetale può avere lo stesso effetto.
Più che la carne rossa in sé, il problema è la cottura. Cuocerla con fiamme vive o in padella ad alte temperature può produrre sostanze pericolose come gli idrocarburi policiclici aromatici o gli ossidi di azoto (Iarc).

Un decalogo con opportuni suggerimenti viene dall’American Institute for Cancer Research:
le sostanze cancerogene si generano sulla carne stessa nelle parti bruciate, e le goccioline di grasso che cadono nel fuoco, vengono trasformate in idrocarburi, si aggregano al fumo e avviluppano gli alimenti presenti sulla griglia.

Per abbattere il rischio, utile è grigliare diversi tipi di alimenti, carni rosse e verdura, o marinare la carne. Alternare carne e verdure su uno spiedo, diminuisce l'area esposta. Erbe e spezie sono utili per il contenuto in antiossidanti. Occorre pulire bene le griglie per eliminare i residui che rimangono attaccati e ridurre il tempo di cottura, scegliendo carbone di legni duri, che bruciano a temperature più basse.

Qual è la cottura più adatta?

Con la cottura, sotto l’effetto dell’agitazione termica, le molecole si urtano, si rompono e si agganciano a caso ad altre, per formare nuove combinazioni di cui alcune non esistono in natura. Si possono formare isomeri non metabolizzati dai nostri enzimi: le modificazioni indotte dal calore sono proporzionali alla temperatura ed ai tempi di esposizione. Il limite al di sopra del quale gli alimenti subiscono delle trasformazioni nocive è 110°. Optare per la cottura a vapore in un recipiente ben chiuso evitando fritture e forno classico (che raggiungono i 300°C) e la pentola a pressione (140°) è l’ideale.

Considerato che gli olii più ricchi di grassi insaturi si ossidano, polimerizzano, ciclicizzano, si dovrebbe evitare di riscaldare gli olii di girasole, di mais, ricchi di acidi grassi insaturi. I danni sono meno gravi con l’olio di arachide il cui contenuto di acidi grassi insaturi è il 30%.

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