Disturbi del metabolismo del ferro: che cosa sapere

Pubblicato il: 30/06/2025 Editato da: Giada Bertini il 02/07/2025

I disturbi del metabolismo del ferro comprendono tutte le condizioni in cui l’organismo non riesce a mantenere un equilibrio tra assorbimento, utilizzo, deposito ed eliminazione di questo elemento essenziale. In Italia interessano milioni di persone e rappresentano un capitolo centrale per l’Ematologia clinica. Sia la carenza di ferro sia il sovraccarico di ferro possono danneggiare organi vitali e ridurre la qualità della vita, ma con una diagnosi tempestiva e terapie adeguate l’evoluzione può essere completamente modificata.

Carenza di ferro e anemia sideropenica

La carenza di ferro è la forma più frequente di malnutrizione micronutriente a livello globale e principale causa di anemia sideropenica. I sintomi iniziali – stanchezza, pallore, tachicardia, unghie fragili – sono spesso aspecifici, perciò il problema viene individuato solo con un esame del sangue che valuti emocromo, ferritina e saturazione della transferrina. Nelle donne in età fertile il deficit è legato per lo più alle perdite mestruali, ma non vanno trascurate cause gastrointestinali (celiachia, gastrite cronica, malassorbimento) e, negli anziani, possibili piccole emorragie del colon.

Sovraccarico di ferro ed emocromatosi ereditaria

All’estremo opposto c’è il sovraccarico di ferro, condizione in cui l’eccesso di metallo si deposita in fegato, cuore, pancreas e articolazioni. La forma più nota è l’emocromatosi ereditaria, dovuta a difetti del gene HFE che alterano la produzione di epcidina, l’ormone chiave dell’omeostasi marziale. Se non trattato, il sovraccarico provoca cirrosi, cardiomiopatia e diabete. Nelle trasfusioni ripetute, invece, il ferro si accumula perché il corpo non dispone di un meccanismo naturale per eliminarlo.

Diagnosi: perché non bastano solo ferro e ferritina

Valori di ferritina bassa orientano verso la carenza, ma una ferritina elevata non indica automaticamente sovraccarico: nelle infiammazioni croniche può aumentare pur in assenza di ferro in eccesso. Per questo l’ematologo integra più parametri (transferrina, recettore solubile della transferrina, PCR, epcidina) e, se necessario, ricorre a risonanza magnetica epatica per quantificare direttamente i depositi. Nel sospetto di emocromatosi esegue il test genetico HFE.

Terapie personalizzate

  • Supplementazione orale: prime scelte per la carenza lieve–moderata; oggi esistono formulazioni a rilascio lento, meglio tollerate.
  • Terapia ferro endovena: consigliata quando l’assorbimento intestinale è scarso, nei malati di malattie infiammatorie intestinali o in gravidanza avanzata.
  • Flebotomie: rimozione periodica di sangue per ridurre il ferro in caso di emocromatosi; monitoraggio ematocrito essenziale.
  • Chelazione: farmaci che legano il ferro in eccesso, indicati nei pazienti politrasfusi o in cui le flebotomie non sono possibili.

Il follow-up include controlli semestrali di emocromo, ferritina e funzione epatica, oltre all’adeguamento della dieta (riduzione alcol e cibi ricchi di ferro solo se indicato).

Prevenzione e vita quotidiana

Una dieta equilibrata, ricca di vitamina C che facilita l’assorbimento marziale, e visite periodiche presso il proprio medico o ematologo permettono di prevenire complicanze gravi. Per chi pratica sport intensi o segue regimi vegetariani, un controllo annuale dei livelli di ferro è raccomandato. Nei portatori di mutazioni HFE, lo screening familiare consente la diagnosi precoce e l’avvio di terapie semplici ma risolutive.

In conclusione, riconoscere i disturbi del metabolismo del ferro in fase iniziale è oggi possibile e permette terapie mirate che proteggono energia, organi vitali e fertilità, restituendo al paziente sicurezza e qualità di vita.

Ematologia a Nola

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