Il nostro esperto in Chirurgia Vascolare a Roma, il Dott. Giovanni Tinelli, ci spiega che cos’è la stenosi carotidea e qual è la sua relazione con gli ictus ischemici
Che cos’è la stenosi carotidea?
Si parla di stenosi carotidea quando il lume delle arterie carotidi, i vasi principali che portano il sangue al cervello, si riduce. La causa principale di stenosi carotidea è l'aterosclerosi: a livello della parete del vaso arterioso si accumulano colesterolo, tessuto fibroso e calcio che portano alla formazione di una placca. Man mano che la placca cresce, il lume del vaso si riduce e diminuisce il normale apporto di sangue al cervello.
Il punto dove più frequentemente si formano queste placche è la biforcazione carotidea, ovvero dove l’arteria carotide comune si divide in due: la carotide interna che porta sangue al cervello e quella esterna che porta il sangue al distretto muscolare della faccia.
Stenosi carotidea ed ictus: qual è la relazione?
L’aterosclerosi delle grandi arterie è la causa principale di tutti gli ictus ischemici, con meccanismo in genere embolico. La complicanza più grave della stenosi carotidea è l’ictus, che nel mondo occidentale si trova al terzo posto tra le cause di morte dopo i tumori e le cardiopatie.
L’afflusso di sangue al cervello è garantito in gran parte dalle due arterie carotidi interne (una per lato). Nel momento in cui questo afflusso di sangue si modifica, in una parte più o meno grande del cervello si crea un’ischemia, ovvero una mancanza di ossigeno e nutrimenti per le cellule nervose cerebrali che può portare alla loro morte: l’ictus ischemico cerebrale.
In alcuni casi prima di un ictus ci possono essere uno o più “campanelli di allarme” con sintomi neurologici a veloce risoluzione che non lasciano danni neurologici: gli Attacchi Ischemici Transitori (TIA). Questi quadri sono spesso correlati a piccolissimi pezzi di placca e/o trombi che si staccano dalla stessa provocando una transitoria alterazione del flusso cerebrale. I TIA sono un urgenza chirurgica perché possono essere l’avvisaglia di un vero e proprio ictus e quindi vanno trattati velocemente.
Le conseguenze di un ictus dipendono dalla parte del cervello che viene danneggiata: possono manifestarsi problemi di movimento a causa di una paralisi degli arti di un lato del corpo, difficoltà di linguaggio o di pensiero. Come è noto, purtroppo, in molti casi l’ictus è mortale o lascia segni gravi per la salute, come la difficoltà nel parlare oppure l’immobilità.
Il rischio di ictus da stenosi carotidea è direttamente correlato al grado della stenosi (riduzione del lume), dal materiale di cui la placca è costituita e dai possibili sintomi neurologici già avvenuti (una placca che ha dato segni neurologici anche minimi ha un rischio alto di provocare un ICTUS più vasto).
Perché la stenosi carotidea può causare un ictus cerebrale?
La stenosi carotidea può essere responsabile di ictus ischemico mediante due principali meccanismi: tromboembolico ed emodinamico.
Il meccanismo tromboembolico è legato alla rottura della placca carotidea; infatti è possibile che dalla placca aterosclerotica si possano staccare dei frammenti di diverse dimensioni che raggiungono i vasi distanti e ne determinano l’occlusione.
Nel secondo meccanismo, la placca si evolve così tanto da occludere completamente la carotide interna producendo il mancato apporto di sangue dei territori a valle. In questa situazione un paziente su tre rimane comunque asintomatico per la presenza di circoli collaterali dal controllato, invece purtroppo due persone su tre hanno un ictus molto vasto potenzialmente mortale.
Quali sono i fattori di rischio della stenosi carotidea?
L’associazione di diversi fattori può incrementare il rischio di formazione di placche aterosclerotiche e, di conseguenza, l'insorgenza di stenosi carotidea. L'ipertensione arteriosa è un importante fattore di rischio: un’eccessiva pressione sulle pareti delle arterie può indebolirle e renderle più vulnerabili ai danni. Altri fattori di rischio sono il fumo, l’età avanzata, alti livelli di colesterolo (LDL, il colesterolo "cattivo") e di trigliceridi nel sangue, l’obesità e il diabete.
Per la prevenzione della stenosi carotidea e degli eventi cerebro-cardiovascolari, è fondamentale quindi la correzione dello stile di vita con adeguato esercizio fisico, dieta e stop al fumo. In presenza di patologie associate è essenziale il controllo anche farmacologico dei valori di pressione arteriosa, colesterolo e glicemia, nonché l’eventuale assunzione di terapia antiaggregante in presenza di placca aterosclerotica significativa.
Come fare diagnosi di stenosi carotidea?
Molto spesso la stenosi carotidea è asintomatica e la sua diagnosi avviene nel corso di accertamenti eseguiti per altri motivi o per prevenzione in pazienti che presentano fattori di rischio cardiovascolari.
La diagnosi di stenosi carotidea viene fatta attraverso l’esame eco-color doppler, che consente di individuare la placca ateromasica e definirne la localizzazione ed il grado di stenosi. L’ecografia permette infatti di osservare la morfologia della placca ed il grado di stenosi carotidea, da correlare al doppler in termini di aumento della velocità del flusso sanguigno. L’esame ecocolor-doppler rimane un esame di primo livello poco invasivo e della durata di pochi minuti.
Soltanto in caso di incertezza diagnostica è indicato eseguire una TC con mezzo di contrasto.
Quando è necessario l’intervento chirurgico? Quali tipi di trattamento esistono?
In presenza di placche carotidee il primo trattamento è quello di correzione dei fattori di rischio associato a quello farmacologico. A livello internazionale l’uso di un antiaggregante (aspirina) associato ad una statina per la stabilizzazione della placca ha ridotto sensibilmente il rischio di ICTUS. Quando l’entità della stenosi carotidea è superiore al 70% di riduzione del lume del vaso o in presenza di sintomi neurologici correlati ad una stenosi è indicato l’intervento chirurgico.
Esistono due tipi di trattamento, quello chirurgico (endoarteriectomia carotidea) e quello endovascolare (stenting carotideo).
L’endoarteriectomia chirurgicaha come obiettivo quello di rimuovere totalmente la placca aterosclerotica. L’intervento può essere eseguito in anestesia locale o generale. Prevede una piccola incisione del collo per raggiungere le arterie carotidi (a pochi cm dalla cute). Una volta rimossa la placca, si richiude l’arteria con l’interposizione di un patch sintetico per allargare il vaso. Dopo l’operazione il paziente viene dimesso dopo 36-48 ore. L’intervento chirurgico CEA, nonostante richieda l’esposizione della carotide, rimane un intervento poco invasivo per il paziente con un tasso di ictus intra e postoperatorio molto basso in centri ad alto volume (inferiore all’1%).
L’intervento endovascolare di stenting prevede una dilatazione del tratto stenotico della carotide interna con il rilascio di uno stent, una piccola rete metallica, nella parte del vaso ristretto dalla placca. La placca rimane lì, schiacciata dallo stent che ripristina il corretto lume del vaso. L’intervento endovascolare viene generalmente effettuato in anestesia locale, il paziente resta sveglio durante tutta la procedura, e l’accesso arterioso è praticato generalmente dall’inguine del paziente tramite una puntura. Al fine di ridurre eventi neurologici durante la procedura, si utilizzano dei sistemi di protezione cerebrale, un filtro (tipo “retino”) a valle o invertendo il flusso cerebrale durante la procedura. Il rischio di ictus legato allo stenting carotideo è di circa l’1-1.5% in centri specializzati. Questi rischi, nonostante le metodiche di protezione cerebrale, sono correlati sia al grado di aterosclerosi diffuso (arco aortico e altre arterie utilizzate per arrivare alla lesione), che agli elementi che costituiscono la placca.
Un tipo di tecnica non è superiore all’altra in termini di risultati, ma risultano complementari rispetto alle specifiche caratteristiche di ogni singolo paziente. Sarà lo specialista di Chirurgia Vascolare a porre indicazione al trattamento della stenosi carotidea e a scegliere il tipo di intervento più adatto, garantendo al paziente il minor rischio per l’intervento.
Per entrambi gli interventi è necessario un follow up (controlli dopo l’intervento) più stretto nei 18 mesi post-operatori con un eco-color doppler e poi una volta l’anno al fine di constatare la corretta “cicatrizzazione” del vaso così come il mantenimento di un regolare flusso sanguigno.