Il trattamento del cuore univentricolare
Autore:Chi soffre di cuore univentricolare può oggi contare sull’avanzamento delle tecniche cardiochirurgiche neonatali e infantili, che registrano sempre più casi di successo. Ne parla il Dott. Gabriele Scalzo, esperto in Cardiochirurgia a Bari
Che cosa si intende per cuore univentricolare?
La definizione cuore univentricolare è la semplificazione comunemente utilizzata per identificare le cardiopatie congenite caratterizzate dal mancato o incompleto sviluppo di una delle camere ventricolari.
Il cuore normale ha 2 ventricoli (destro e sinistro); per cuore univentricolare si intende la mancanza o l’incompleto sviluppo di un ventricolo, che può essere il ventricolo sinistro (classico esempio è il cuore sinistro ipoplasico) o il destro (Atresia della tricuspide, Atresia polmonare a setto intatto sono alcuni esempi).
Come si può intuire, si tratta di cardiopatie congenite complesse, che richiedono un programma di trattamento standardizzato. Si tratta però di una palliazione a lungo termine, poiché non esistono trattamenti in grado di restituire la funzione della pompa ventricolare mancante.
Quali sono i sintomi nel neonato affetto da questa malformazione?
La diagnosi oggi è sempre più frequentemente prenatale; con l’esame ecocardiografico eseguito durante la gravidanza alla 20° settimana si rileva facilmente la porzione mancante. Questo consente alla famiglia di poter affrontare il trattamento nel migliore dei modi. Infatti la nascita deve avvenire in un centro di terzo livello dotato di cardiochirurgia pediatrica, per poter iniziare subito i trattamenti necessari.
S tratta di forme gravi, specie il cuore sinistro ipoplasico, che senza l’immediato intervento terapeutico possono condurre alla morte del neonato in pochi giorni, e talvolta in poche ore.
I sintomi dipendono dal tipo di ventricolo mancante: se manca il sinistro, vi è una scarsa circolazione del sangue a livello sistemico, con gravissime compromissioni degli organi sino allo shock e alla morte. Nel caso del deficit del ventricolo destro, i sintomi prevalenti sono dovuti alla cianosi (colorito bluastro) per la scarsa perfusione del circolo polmonare.
In che cosa consiste il suo trattamento?
Il trattamento chirurgico prevede un programma di tre tappe per realizzare la circolazione di Fontan, dal nome del chirurgo francese che ebbe l’intuizione di dirottare il flusso venoso sistemico (ovvero il sangue venoso povero di ossigeno) verso i polmoni, senza farlo più passare dal ventricolo mancante. Tuttavia, si tratta di un programma di palliazione a lungo termine: come già menzionato, non esistono interventi chirurgici che possano restituire la parte mancante di cuore.
La prima tappa avviene in epoca neonatale (fino a 30 giorni di vita) e dipende dal tipo di patologia di base:
- Nel cuore univentricolare per mancanza del ventricolo destro, consiste in un intervento di shunt sistemico-polmonare, che ha l’obiettivo di far arrivare più sangue ai polmoni per migliorarne l’ossigenazione. A tal fine, si interpone un piccolo tubicino sintetico tra un’arteria sistemica e l’arteria polmonare. Il rischio operatorio, cioè la possibilità di morire per complicazioni gravi, è del 10%.
- Nel cuore sinistro ipoplasico, invece, il trattamento in epoca neonatale prevede l’intervento di Norwood. Quest’ultimo prende il nome dal chirurgo che ebbe l’intuizione di utilizzare il ventricolo destro come pompa sistemica, collegandolo con l’aorta e aggiungendo uno shunt sistemico-polmonare per garantire il flusso polmonare. L’intervento è complesso e rischioso, con una mortalità tra il 15 ed il 20%. Un’alternativa odierna è rappresentata dalla tecnica “ibrida” che prevede un intervento in epoca neonatale meno invasivo, quindi meno rischioso, spostando il rischio alla tappa successiva, con l’intento di poter contare sulle maggiori capacità del lattante di superare un intervento chirurgico molto pesante.
- Vi sono dei casi in cui la patologia determina troppo flusso verso i polmoni (per esempio, ventricolo sinistro a doppio ingresso) e la soluzione in epoca neonatale è il bendaggio polmonare. Quest’ultimo consiste nel restringere il calibro del tronco dell’arteria polmonare in modo da “proteggere” i polmoni dall’eccessivo flusso di sangue, che con il tempo li danneggerebbe, impedendo la successiva realizzazione della circolazione di Fontan. Il rischio operatorio è del 10%.
Cosa succede dopo l'intervento neonatale?
Dopo la prima tappa neonatale, il percorso chirurgico diventa identico per tutte le forme di cuore univentricolare.
Tra i 4 ed i 6 mesi di vita si esegue l’intervento di Glenn, dal chirurgo che realizzò il collegamento tra la vena cava superiore e l’arteria polmonare. Il rischio operatorio è del 2%.
Infine, intorno ai 3-4 anni di vita si effettua il completamento della circolazione di Fontan, che prevede il collegamento della vena cava inferiore con l’arteria polmonare. Il rischio operatorio è del 2%.
È da sottolineare come il rischio operatorio delle tappe successive a quelle neonatali sia notevolmente più basso.
Al termine del programma, il sangue venoso poco ossigenato viene mandato verso i polmoni senza l’intervento della pompa cardiaca, mentre il ventricolo unico svolgerà il lavoro di pompa sistemica, cioè di spingere il sangue ossigenato nei polmoni a tutto l’organismo.
Per poter funzionare, questo tipo di circolazione speciale, non prevista dall’organismo umano, necessita condizioni di perfetto funzionamento del circolo polmonare e del ventricolo superstite, senza alcun tipo di ostacolo (anatomico o funzionale). Per questo motivo, sono previste particolari indagini cardiologiche che possano confermare la possibilità di poter affrontare le tappe successive del programma chirurgico.
I risultati dell’intervento in termini di sopravvivenza oggi sono eccellenti, considerata la gravità della patologia: 85% è la percentuale di coloro che sono ancora in vita dopo 20 anni dall’intervento finale.
L’aspetto dei pazienti è assolutamente normale, con ottima ossigenazione. Nel corso della crescita, i piccoli possono svolgere le normali attività scolastiche e sportive a livello ludico; non possono avere performance da campioni, ma ugualmente fare sport a livello amatoriale, con i coetanei.
Il 15% dei pazienti, purtroppo, muore negli anni per il manifestarsi di complicazioni di vario genere dovute all’insufficienza dell’unico ventricolo esistente.
Oggi si tenta con l’attività trapiantologica e di assistenza meccanica (cuori artificiali) di salvare anche i pazienti che andranno incontro allo scompenso cardiaco.
Quindi oggi la cardiochirurgia pediatrica è in grado di poter offrire ai bambini che nascono con un cuore univentricolare la possibilità di sopravvivere, conducendo una vita regolare e prolungata. La situazione è molto cambiata rispetto agli anni ’70-’80, quando il cuore univentricolare era considerata una condizione incurabile e mortale.