La displasia congenita dell’anca: come comportarsi?

La displasia congenita dell’anca: come comportarsi?

Editato da: Antonietta Rizzotti il 14/12/2020

La displasia congenita dell’anca (DCA) è una condizione patologica collocabile in epoca perinatale caratterizzata dalla perdita più o meno marcata, dei rapporti anatomici e quindi articolari tra testa del femore e l’acetabolo, cioè quella parte del bacino che la contiene. Ne parla il Dott. Gaetano Pagnotta, esperto in Ortopedia pediatrica a Roma

Quali sono le cause della DCA?

La causa della DCA è multifattoriale: si associano, infatti, fattori intrinseci (come un’aumentata lassità legamentosa) ed estrinseci (comeNeonato le modalità di parto ed il posizionamento del feto in utero.)

La DCA è più frequente nel sesso femminile proprio per quella componente genetica della patologia con una frequenza pressoché doppia nella femmina rispetto al maschio.

Come si effettua la diagnosi?

La diagnosi si avvale oggi dell’ecografia esame assolutamente non invasivo messo a punto negli anni ‘80 ed oggi considerato universalmente come il sistema di diagnosi più affidabile e del tutto riproducibile, anche mensilmente, senza rischi. Se ben condotto (a tale proposito si ribadisce la importanza che l’operatore ecografista sia persona competente e dotata di esperienza nel campo osteo-articolare) l’esame è in grado di individuare in tempi precoci qualunque anomalia del complesso testa femorale-acetabolo. Tali eventuali anomalie vanno comunque rapportate all’età del piccolo paziente: è concetto noto il fatto che esiste una certa immaturità “fisiologica” nell’articolazione dell’anca che non è patologica entro i tre mesi di vita e che si normalizza nella grande maggioranza dei casi senza alcun trattamento.

Quindi come comportarci in questi casi?

Ci viene in aiuto come detto la storia familiare e la storia del parto. Per esempio se c’è in famiglia una pregressa positività per DCA o il parto è stato podalico, ecco che il controllo ecografico sarà più serrato. Anche la clinica ci sarà d’aiuto: se si riscontra una contrattura delle anche (cioè la difficoltà a portare le cosce del bambino sul piano d’appoggio) sarà anche questo un aspetto che ci deve indurre a maggiore vigilanza. Ma solo vigilanza nei primi tre mesi di vita, e null’altro. Certamente no la inutile scelta terapeutica del “doppio pannolino”!neonato

Le cose cambiano dopo il terzo mese. Se l’ecografia conferma la persistenza della DCA, il trattamento deve essere intrapreso. Negli ultimi anni è prevalsa la cosiddetta “posizione umana” nell’applicazione del tutore. Abbandonati quei sistemi di cura che “forzavano” le anche in posizioni di estrema abduzione (apertura) spesso poco efficaci ed anche pericolose, abbiamo sposato ormai da più di dieci anni sistemi di cura meno aggressivi e più efficaci che mantengono le anche in flessione (come la posizione fetale intrauterina) del tutto prive di rischi e molto efficaci. Con questo sistema di cura, caratterizzato inoltre dalla “dinamicità” dello stesso – rispetto ai sistemi tradizionali statici e poco accettati dai neonati - spesso in 2/3 mesi di trattamento si riesce a riposizionare l’anca nella sua posizione fisiologica e in maniera stabile. Anche in questo caso, e specialmente in questo caso, è indispensabile che il trattamento sia condotto dallo specialista Displasia congenita ancaortopedico, che è l’unico consapevole fino in fondo del percorso terapeutico ed è l’unico in grado di fronteggiare i rischi e le complicazioni che un trattamento così delicato può comportare.

Questa tecnica terapeutica risulta efficace fino ai 5/6 mesi di vita del paziente. Dopo questa data, e per i limiti stessi del divaricatore (mal si adatta esso alla crescita e alla “forza” del bambino) o per la “irriducibilità” della lussazione, se la displasia è sempre presenta si deve ricorrere ad altri sistemi di cura come la riduzione della lussazione in gesso sotto anestesia o, in alcuni casi, all’intervento chirurgico con liberazioni delle tensioni muscolo-tendinee che ostacolano la riduzione e il riposizionamento della testa del femore in acetabolo seguito da gesso e tutore in abduzione per 4/6 mesi.

Fortunatamente ciò è sempre meno frequente per una maggiore coscienza del problema presso i pediatri, per l’avvento e diffusione della ecografia e per quella raggiunta maturità professionale che riconosce i propri ambiti e ne intravede i limiti. Quindi screening di massa da parte del neonatologo-pediatra, ecografia da parte del radiologo o di chi ne abbia precisa e certificata esperienza, trattamento da parte dell’ortopedico pediatra.

Ortopedia Pediatrica a Roma