Prenditi cura del paziente, non della malattia! La sfida della multimorbidità

Pubblicato il: 28/03/2025 Editato da: Veronica Renzi il 28/03/2025

Viviamo in un’epoca in cui la medicina ha fatto passi da gigante: esami sempre più sofisticati, terapie mirate e una conoscenza approfondita di ogni singola malattia. Questo ha portato ad un progressivo sviluppo delle conoscenze in particolare delle singole malattie, e specializzazione dei medici, con notevole impatto positivo sulla qualità di vita e sopravvivenza dei pazienti.


Tuttavia, quando il medico ha completato la diagnosi e trattamento di una malattia cronica (esempio broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), asma, scompenso cardiaco, diabete) si rende subito conto che tale malattia non è isolata, ma è concomitante ad una o più altre malattie croniche croniche – una condizione nota come multimorbidità cronica che costituisce il problema dominante di tutti i sistemi sanitari, definito come la pandemia del XXI secolo.

Per il singolo medico, quindi emerge subito un problema centrale: consideriamo il paziente come un insieme di malattie o come una persona nella sua interezza?

Sir William Osler, Professore e Clinico alla Johns Hopkins Università, suggeriva agli studenti di medicina già nel 1899, “Care more particularly for the individual patient than for the special features of the disease,” prendetevi più cura del paziente che solamente delle specifiche caratteristiche della singola malattia con cui si presenta. Purtroppo tale saggio suggerimento è tuttora largamente inascoltato.

La multimorbidità è sempre più comune, specialmente tra gli anziani, ma colpisce anche persone più giovani. Spesso si tratta di combinazioni complesse di malattie come diabete, ipertensione, BPCO o insufficienza cardiaca, che richiedono cure e attenzioni diverse ma interconnesse.

L’approccio integrato: guardare al paziente

Il vero cambiamento avviene quando si passa dalla cura della malattia alla cura del paziente. Questo implica un’attenzione globale alla persona, che non si limita ai sintomi fisici ma include aspetti come il benessere emotivo, lo stile di vita, l’ambiente di vita e lavorativo, la qualità del sonno e le relazioni sociali.

Prendiamo, ad esempio, un paziente che soffre di BPCO e di insufficienza cardiaca. In questo caso, il piano terapeutico non può essere limitato alla gestione dei singoli sintomi respiratori o cardiaci, ma deve tenere conto di fattori come l’autonomia del paziente e le sue priorità personali.

Il ruolo cruciale della coordinazione

Un problema comune tra i pazienti con multimorbidità è la frammentazione delle cure. Spesso devono consultare più specialisti, ciascuno con un approccio specifico. Questo può generare confusione e frustrazione, soprattutto se le indicazioni non sono integrate.

Qui diventa essenziale il ruolo del medico di famiglia o dello specialista di riferimento, il quale deve fungere da punto di coordinamento tra i vari piani terapeutici. Una cura integrata è l’unica strada per evitare contraddizioni e garantire un approccio più fluido e efficace.

Attenzione alla politerapia

La politerapia, cioè l’assunzione di molti farmaci contemporaneamente, è un rischio comune nella multimorbidità. Ogni farmaco deve essere attentamente valutato, considerando possibili interazioni ed effetti collaterali. Meno farmaci, se efficaci, spesso significa meno complicazioni.

Un dialogo che fa la differenza

Curare il paziente e non la malattia significa anche instaurare un dialogo aperto e sincero. È fondamentale ascoltare i bisogni del paziente, spiegare chiaramente le opzioni terapeutiche e coinvolgerlo nelle decisioni. Questo migliora l’aderenza alle cure e, soprattutto, la qualità della vita.

Conclusione: una medicina umana e olistica

La multimorbidità è una sfida complessa, ma con un approccio centrato sulla persona possiamo fare la differenza. Ricordiamoci sempre che dietro ogni diagnosi c’è una storia, e quella storia merita attenzione, rispetto e cura globale.


Cordova J. The “good” physician: Oslerian aphorisms in the 21st century. Proc (Bayl Univ Med Cent) 2021;34:325–326

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