Il caso della PGT-A: stress meccanico su embrioni e sviluppo placentare

Il caso della PGT-A: stress meccanico su embrioni e sviluppo placentare

Editato da: Sharon Campolongo il 23/02/2023

Attualmente, per diagnosticare le malattie genetiche e le patologie cromosomiche negli embrioni durante una fecondazione in vitro esistono due tipologie di test: il test genetico preimpianto per malattie monogeniche (PGT-M) e il test genetico preimpianto per aneuploidie (PGT-A). Ma in che cosa consiste la PGT-A? Scopriamolo insieme all’intervento del Prof. Claudio Manna, specialista in Ginecologia

In che cosa consiste la PGT-A?

La PGT-A è una tecnica di PMA in aumento considerato che rappresenta il 40% dei cicli Fivet in USA. Il suo scopo è quello di scoprire se gli embrioni formati sono aneuploidi e, in tal caso, non trasferirli in utero per prevenire fallimenti di impianto ed aborti. La PGT-A richiede, anzitutto, lo sviluppo degli embrioni fino allo stadio di blastocisti per poter prelevare 5-10 cellule dal trofoblasto o trofoectoderma, ossia la parte esterna dell’embrione che darà la placenta. Gli embrioni vengono poi congelati fino a che non sono pronti i risultati delle analisi genetiche. Gli embrioni senza o con poche aneuploidie vengono allora scongelati e trasferiti in utero dopo che questo è stato opportunamente preparato con gli ormoni estrogeni e progesterone. In queste condizioni non c’è né l’ovulazione né la formazione del corpo luteo. Simile alla PGT-A è la PGT-M con la differenza che in questa si cercano gli embrioni affetti da malattie monogeniche come ad esempio la fibrosi cistica.

Tuttavia, alcuni autori hanno espresso preoccupazione riguardo alla possibilità che la biopsia del trofoectoderma possa disturbare lo sviluppo dell’embrione, influendo negativamente sul risultato della gravidanza. Si è ipotizzato che la rimozione di cellule dal tessuto che diventerà la placenta non incida sulle percentuali di impianto dell’embrione, ma che possa condizionare le successive fasi della placentazione. Le anomalie di derivazione placentare, come ad esempio la placenta previa e quella accreta, l’ipertensione in gravidanza ed i ritardi di crescita fetale potrebbero essere conseguenze di questa placentazione anomala.

Che cosa ci indicano gli studi?

Attraverso uno studio comparativo con l’obiettivo di analizzare i risultati ostetrici e neonatali derivanti dalla PGT-A con biopsia allo stadio di blastocisti congelate e biopsia a stadi più precoci (3 giorni) di embrioni freschi, Jing e coll. (2016) hanno scoperto che la prima era collegata a percentuali significativamente maggiori di ipertensione in gravidanza (9% vs. 2,3%). Questi dati indicano un aumentato rischio di danno placentare come conseguenza della PGT-A sul trofoectoderma.

coppia che si abbracciano e aspettano un bambino

Qualcosa di analogo è pervenuto dai risultati di uno studio su 345 parti singoli e 76 gemellari dopo PGT-M. La PGT-M mostrò un aumentato rischio di complicazioni ostetriche, quando vennero comparate con gravidanze avvenute spontaneamente o mediante la Fivet senza PGT. In particolare, questi dati dimostrarono una percentuale più elevata di ipertensione gravidica (6,9%) rispetto ai concepimenti spontanei (2,3%) ed al gruppo della Fivet (4,7%). Fu anche riportato un tasso superiore di neonati più piccoli per l’età gestazionale (12,4%) in confronto con quelli provenienti da concepimenti spontanei (3,9%) e dei pazienti Fivet (4,5%). Inoltre Makhijani et al. (2021) hanno osservato una maggiore probabilità per chi si sottopone a PGT-A di sviluppare ipertensione gravidica rispetto a chi non la faceva (1,9 volte di più).

In questo studio fu anche considerata l’eventuale influenza degli ormoni nella preparazione dell’endometrio. Nel loro modello di regressione logistica binaria, ossia un particolare calcolo, hanno trovato che il rischio della biopsia del trofoectoderma nella PGT-A restava sempre significativamente più alto. In un recente grande studio, svoltosi in un centro unico, fu notato che la frequenza di ipertensione nelle gravidanze ottenute con il transfer di 241 blastocisti e trattate con biopsia risultò essere il doppio rispetto a quella derivante dal transfer di 515 blastocisti non sottoposte a biopsia.

È importante cercare le aneuploidie embrionarie?

Era stato già visto che, tra gli embrioni con cellule aneuploidi, il 31% proveniva dalla meiosi, cioè dagli ovociti, mentre il 74% dalle divisioni cellulari negli embrioni, con il massimo delle aneuploidie che si originavano a partire dal 4°/5° giorno dopo la fecondazione, diminuendo al 5-6% a partire dal giorno 7°. Di conseguenza, dovremmo considerare l’influenza ambientale all’origine delle aneuploidie che si formano nelle divisioni cellulari degli embrioni in sviluppo.

Da un punto di vista strettamente clinico, la PGT-A non migliora i risultati della Fecondazione in vitro e neanche riduce il tasso di abortività.

Inoltre, bambini sani sono nati dopo i transfer di embrioni aneuploidi a mosaico. Ciò non è sorprendente, perché è ben nota la capacità degli embrioni aneuploidi di autocorreggersi. Infatti, è stato dimostrato che, nei topi, un processo di apoptosi mediante autofagia è capace di eliminare le cellule aneuploidi. Nella specie umana questo processo è promosso dalla proteina-4 morfogenetica (BMP4). Questi meccanismi, insieme al fatto che i risultati ottenuti dalla la biopsia del trofoectoderma non possono essere rappresentativi di tutto l’embrione, contraddicono l’idea che tutti gli embrioni con aneuploidie debbano essere eliminati e costituiscono una forte critica all’utilità clinica della PGT-A.

Il Comitato Scientifico dell’HFEA, il massimo organo britannico di controllo ed indirizzo governativo sulla PMA, ha recentemente modificato il valore della PGT-A a “rosso”, significando in tal modo che non ci sono evidenze che sia una tecnica utile e sicura.

 

Articolo pubblicato presso International Journal of Molecular Sciences.

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