Si tratta di una rabbia senza radici, senza voce. L‘approccio sistemico-relazionale ci invita a leggere questi comportamenti non come ”scelte individuali sbagliate”, ma come segnali di rottura nei sistemi di appartenenza: famiglie frammentate, legami spezzati, narrazioni interrotte. Quando un adolescente o un giovane adulto agisce in modo violento o oppositivo, spesso sta gridando una mancanza:
• Assenza di contenimento affettivo e regolazione emotiva
• Frustrazione di bisogni primari (riconoscimento, appartenenza, identità)
• Ambiguità o contraddizione nei modelli adulti di riferimento
• Traumi relazionali non riconosciuti o non integrati
In questi contesti, la rabbia diventa l‘unico strumento per sentirsi vivi, visibili, o almeno percepiti. È una richiesta di aiuto sotto forma di attacco.
Violenza agita VS violenza subita
Molti giovani che incontriamo hanno vissuto forme di violenza silenziosa prima ancora di agire la loro: disattenzione, trascuratezza, incoerenza educativa, assenza di limiti chiari, iper-responsabilizzazione o deleghe genitoriali inadeguate. Il rischio è che queste esperienze non vengano riconosciute come ”trauma” perché non presentano segni fisici, ma lasciano ferite identitarie profonde. Il giovane allora non distingue più tra sé e l‘altro, tra dolore e colpa, tra dentro e fuori, e agisce una rabbia che è insieme difesa e attacco.
Il genitore talvolta negandosi una corresponsabilità tende a considerare il problema all’esterno del sistema familiare. Il problema è rappresentato da: la scuola, gli amici, le reti sociali, i giorchi elettronici.
Manca il tempo della relazione e del confronto, della noia e del pianto, tutti corrono, non si sa dove… Ma mai uno verso l’altro. Il prendersi cura è delegare alla cura.
Il compito della Psicoterapia: dare forma al caos
In questo scenario, lo psicologo – soprattutto se formato in ambito sistemico-relazionale – non è chiamato solo a ”gestire” il comportamento, ma a raccogliere e trasformare il dolore sottostante. Decodificare richieste, capire le frustrazioni originarie. Serve uno spazio che:
• Offra contenimento simbolico alla rabbia e alla frustrazione
• Aiuti a dare parole alle emozioni senza agire
• Ricostruisca la mappa relazionale da cui nasce il disagio
• Riattivi alleanze genitoriali e adulte che possano sostenere il cambiamento
Come spesso sottolinea Matteo Lancini, Direttore dell‘Istituto Minotauro di Milano: ”I ragazzi non hanno bisogno di essere puniti, ma di essere visti.” Questo ”vedere” non è solo accorgersi della rabbia, ma riconoscere la storia che l‘ha generata. L‘utilità dell‘approccio sistemico consiste nel provare a tenere in rete tutti i coautori di una storia familiare, in cui il giovane diventa spesso portatore di un sintomo collettivo. Il lavoro terapeutico si orienta dunque non solo sull‘individuo, ma su tutto il contesto relazionale che alimenta e sostiene (spesso inconsapevolmente) il disagio.
Dalla rabbia alla responsabilità
Restituire senso alla rabbia significa riconoscere il diritto alla fragilità. Aiutare un giovane ad attraversare la tempesta emotiva, senza farsene travolgere, è uno dei compiti più delicati ma anche più trasformativi del lavoro clinico e sociale.
Là dove il sistema familiare, educativo o giudiziario è riuscito solo a contenere, la psicoterapia può accogliere, decodificare e restituire dignità alla sofferenza. In un mondo in cui la rabbia urla sempre più forte, il vero atto rivoluzionario è ascoltare.