L’approccio neurologico alla depressione consente di inquadrarla come una patologia del cervello, oltre che psicologica, concentrandosi sullo studio delle alterazioni cerebrali, neurochimiche e funzionali che caratterizzano questo disturbo. Analizziamo la depressione da un punto di vista inedito (quello neurologico, per l’appunto) insieme al Dott. Mauro Colangelo, specializzato in Neurologia e in Neurochirurgia.
Alterazioni nei neurotrasmettitori
Come già accennato nell’introduzione, la depressione non è solo una condizione psicologica, poiché implica modifiche osservabili nella struttura e nel funzionamento del cervello costituite da neurotrasmettitori.
Nella depressione si osservano alterati livelli dei seguenti neurotrasmettitori che regolano l’umore e altre funzioni cognitive:
- Serotonina: è il principale messaggero chimico associato al benessere e regolazione dell’umore, per cui un suo deficit comporta deflessione dell’umore verso la depressione con ansia ed attacchi di panico, disturbi del sonno e dell’appetito e vulnerabilità allo stress. I farmaci classificati come SSRI (Inibitori Selettivi Ricaptazione Serotonina), come l’escitalopram o la fluoxetina, sono la classe di antidepressivi più utilizzata perché il loro meccanismo consiste nel bloccare la ricaptazione della serotonina da parte del trasportatore della serotonina (SERT), aumentandone la quantità nello spazio sinaptico e in tal modo potenziando la trasmissione serotoninergica, che si è dimostrato essere ridotta nei soggetti depressi.
- Dopamina: è il neuromediatore del sistema della ricompensa, ossia è coinvolto nella motivazione e nel piacere; nel soggetto depresso si osserva una ridotta attività del sistema dopaminergico nel circuito cerebrale delle emozioni (mesocorticolimbico), che regola motivazione e iniziativa. Alla disfunzione dopaminergica è correlata la difficoltà ad avviare attività anche semplici e l’incapacità di provare piacere (anedonia) da cose un tempo gratificanti. Parallelamente l’ipofunzione della via dopaminergica mesocorticale della corteccia prefrontale si riverbera in ridotta capacità di concentrazione, di working memory e di flessibilità cognitiva. Analogamente agli SSRI, quando coesiste una forte anedonia e marcata riduzione dell’iniziativa motivazionale nei casi di depressione resistente, si ricorre ad un inibitore della ricaptazione della dopamina (bupropione) oppure ad agonisti dopaminergici che vengono usati per la terapia della malattia di Parkinson.
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- Noradrenalina: prodotta nel locus coeruleus e nel sistema simpatico, è il neurotrasmettitore legato alla regolazione dell’attenzione e alla risposta allo stress, per cui una sua carenza causa difficoltà nella messa a fuoco mentale, causando confusione e distrazione nonché ridotta risposta emotiva allo stress, per cui il depresso è più vulnerabile a stimoli negativi. Inoltre, regola il ciclo sonno-veglia per cui un suo squilibrio causa insonnia o sonno non ristoratore con conseguente eccessiva sonnolenza diurna. Gli antidepressivi che potenziano la trasmissione noradrenergica sono gli SNRI (venlafaxina, nortriptilina, mirtazapina), migliorando i sintomi di deficit di attenzione e di maggiore vulnerabilità allo stress, oltre che di stanchezza mentale e fisica.
Nella depressione tutti e tre i sistemi sono alterati ma in misura diversa, con differente coinvolgimento dei neurotrasmettitori e quindi dei sintomi predominanti, che consentono di distinguere una forma tipica, in cui i sono ridotti tutti e tre, da una forma atipica, in cui la riduzione è più marcata a carico della dopamina e della noradrenalina.
Aree cerebrali coinvolte
Mediante l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale (fMRI) e della PET e SPECT si rilevano le aree cerebrali attive e si determinano i cambiamenti strutturali indotti dalla depressione. Risultano ridotti di volume, ipo- o iperfunzionanti queste regioni:
- Corteccia prefrontale: coinvolta nel pensiero critico e nella regolazione delle emozioni, appare ipofunzionante.
- Ippocampo: di importanza cruciale per memoria ed emozioni, si presenta ridotto di volume ed ipofunzionante.
- Amigdala: legata a emozioni negative e ansia, è iperattiva nella depressione.
- Circuiti limbici e talamo: coinvolti nel processamento emotivo.
Neuroplasticità e stress
La depressione è associata a una riduzione della neuroplasticità, che consiste nella capacità del cervello di adattarsi e riorganizzarsi attraverso vari meccanismi interconnessi, principalmente legati allo stress cronico attraverso i seguenti processi:
- Stress prolungato: è causa di aumento del cortisolo, l’ormone dello stress, e i livelli elevati hanno effetti tossici sui neuroni, in particolare nelle aree sensibili come l’ippocampo e la corteccia prefronale
- Aumento di citochine infiammatorie: che interferiscono con i processi di plasticità sinaptica, riducendo la formazione di nuove sinapsi, ossia le connessioni fra i neuroni, compromettendo quelle esistenti.
- Diminuzione dei livelli di BNDF (Brain-Dervived Neurotrophic Factor): che è una proteina fondamentale per la sopravvivenza, la crescita e la differenziazione dei neuroni
Alterazioni morfologiche
La combinazione di stress prolungato con eccesso di cortisolo, basso BDNF e aumento dei fattori infiammatori induce un ambiente neurobiologico in cui il cervello perde parte delle sue capacità di adattarsi e di formare nuove sinapsi che adduce a una riduzione del volume cerebrale; ciò è particolarmente rilevabile a carico dell’ippocampo, struttura essenziale per la memoria e l’apprendimento, con conseguente ulteriore compromissione delle funzioni cognitive ed emotive.
Questa prospettiva di valutazione dei meccanismi della depressione in chiave neurologica ha finora favorito lo sviluppo di terapie mirate come i farmaci neurochimici.