Come combattere l’ansia?
L’ansia, emozione che ci accompagna dall’inizio della vita, proprio per aumentare le possibilità di conservarla, è uno stato emotivo estremamente frequente, e qui tratteremo di ansia nei termini di emozione che, per la sua intensità e/o frequenza, diventa disturbante
Ansia: com’è la situazione in Italia?
Circa il 75% della popolazione generale l’ha sperimentata almeno una volta nella vita. Se si parla di ansia che deve essere in qualche modo curata, arriviamo al 20-40% della popolazione a seconda degli studi.
È una patologia che, nelle sue diverse forme è assai diffusa in Italia, e che ha avuto un evidente incremento durante e dopo la pandemia.
Colpisce in tutte le età della vita, e quindi con forme diverse per periodo, più frequentemente tra i 16 e i 50 anni come età di insorgenza, e molto spesso è in co-morbilità, cioè è accompagnata da altri disturbi, fisici (esempio patologie fisiche varie) e psichici (tipicamente la depressione, ma anche altri disturbi mentali).
Si manifesta in molteplici forme:
- Ansia sociale: paura di avere a che fare con le persone nei contesti sociali, paura di esibirsi e così via;
- Fobie: paure eccessive e apparentemente immotivate per stimoli normalmente non così forti, ad esempio nei confronti di animali, o insetti, o spazi aperti o chiusi;
- Attacchi di panico: episodi autolimitantisi, ma caratterizzati da angoscia intensissima, palpitazioni, senso si svenimento o morte, sudorazione, tremori;
- Ansia somatizzata: vissuta sul (con il) corpo, con l’insorgenza di sintomi fisici senza ragioni fisiche apparenti, ad esempio dispnea o fiato corto, disturbi digestivi, diarrea, dolori e visione offuscata.
Quali sono le cause?
Come spesso accade, esistono predisposizioni genetiche, cioè una “vulnerabilità” geneticamente trasmessa che può, o non può, causare la sintomatologia a seconda della presenza/assenza di fattori esterni scatenanti o fattori di rischio incidenti.
Esiste poi la personalità facile all’ansia (deficit nella strutturazione del sé, con insicurezza nell’ambito dell’identità e delle capacità dell’Io), e che quindi ancora in relazione a situazioni di vita può più facilmente sviluppare sintomi ansiosi.
Infine, l’ansia come comorbilità, ad esempio in un episodio depressivo.
L’ansia, poi, come condizione anche “normale” è un’esperienza che tutti abbiamo sperimentato: la soglia “patologica” è quindi, come accennato, sia qualitativa che quantitativa.
Infatti, ad esempio, l’ansia legata a una malattia fisica è bene comprensibile e attesa; ma una situazione di panico o una tensione insostenibile con insonnia incoercibile deve comunque essere trattata, e non più considerata un portato inevitabile della malattia fisica.
I fattori di rischio (personalità, eventi della vita, uso di sostanze e alcol, status socioeconomico, culturale e di situazione di vita) possono essere affrontati e limitati e spesso devono essere il primo e principale intervento di cura, come la limitazione dell’utilizzo di sostanze. L’ambito della prevenzione dovrebbe essere un canale privilegiato di osservazione e intervento nell’ambito di tutti i disturbi mentali.
Perché è importante non sottovalutare i sintomi?
Definire con esattezza la soglia oltre la quale l’ansia deve essere affrontata è importante per limitare i disagi della persona e per non determinare una cronicizzazione del disturbo, che poi agirebbe, in un circolo vizioso, sul senso di sicurezza del soggetto, e sulla solidità della sua identità e senso di autonomia.
Non esistono esami specifici per valutare la qualità e la quantità dell’ansia; solo in casi assolutamente specifici e sporadici (squilibri biologici legati a malattie metaboliche o altre malattie fisiche come l’ipertiroidismo, oppure necessità di valutazione dei metaboliti urinari per valutare l’uso di sostanze) sono indicati esami particolari.
È possibile curare l’ansia?
L’ansia si può, e si deve, curare, poiché può rendere la vita quotidiana veramente difficile, diminuendo drasticamente la qualità di vita.
Definita la diagnosi e la comprensione della sua origine, i passi da compiere sono essenzialmente due:
- Il primo approccio deve essere di tipo psicologico, con valutazione attenta delle risorse dell’Io, dei fattori precedenti e scatenanti, per la definizione di un programma terapeutico che può consistere in colloqui di valutazione e counselling fino a una psicoterapia adeguata. In questo caso, utile ricordare che la psicoterapia non è una chiacchiera, ma uno strumento specifico, con specialisti formati e dedicati, e che deve sempre essere preceduta da una corretta diagnosi del funzionamento psicologico del soggetto. Ad esempio, diverso intervento psicoterapeutico (e quindi specialisti diversi, o per lo meno strategie terapeutiche diverse) se il paziente ansioso ha buone capacità introspettive e di autoanalisi - area del conflitto psichico - per cui una psicoterapia di tipo psicodinamico o psicoanalitico è possibile e indicata, oppure se il soggetto ha scarse capacità di analisi interiore, scarsa consapevolezza emotiva, e quindi bisogno di sostegno/protesi, per cui l’indicazione andrà più verso una psicoterapia cognitivo-comportamentale, che non affronti specificatamente le difese, per eliminarle, ma paradossalmente le rafforzi modificandole in schemi maggiormente adattativi.
- L’approccio successivo, per gravità, o anche parallelo agli interventi psicologici, è quello farmacologico. È indicato l’utilizzo di benzodiazepine solo in fase acuta (attacco di panico singolo) o iniziale, considerando la loro tendenza a sviluppare tolleranza (necessità di aumento nel tempo della dose) e dipendenza (fisica e psichica). In molti disturbi d’ansia (generalizzata, attacchi di panico, fobie, ansia in disturbi ossessivi), l’intervento realmente curativo sono gli antidepressivi. Quando ben funzionanti, gli antidepressivi (privilegiando i cosiddetti inibitori della serotonina perché gravati da meno effetti collaterali), diminuiscono radicalmente, o risolvono il disturbo d’ansia. Tutto questo anche in assenza di patologia depressiva primaria. Una volta eliminato o grandemente limitato il problema, dopo qualche mese tale farmaco potrà essere gradualmente diminuito fino a sospenderlo, in base ai vari aspetti soggettivi e di ambiente e stile di vita. Naturalmente, tale intervento farmacologico dovrà essere “tagliato” sulla singola persona: età, sesso, concomitanti disturbi, risposte eventuali precedenti, episodio a maggiore o minore comorbilità depressiva, sono alcuni esempi delle valutazioni che vanno fatte nel “misurare” tipo e dose del farmaco da prescrivere.