Come si diagnosticano e si trattano gli adenomi dell’ipofisi?

Come si diagnosticano e si trattano gli adenomi dell’ipofisi?

Editato da: Sharon Campolongo il 17/03/2022

Sappiamo già che gli adenomi ipofisari sono tumori che colpiscono l’ipofisi e rappresentano il 15% delle neoplasie intracraniche. Ma come si esegue una corretta diagnosi e come si decide il tipo di terapia? Scopriamolo in questo breve articolo

Come avviene la diagnosi?

Oltre i riscontri ormonali ematici il paziente con diagnosi di adenoma ipofisario deve essere sottoposto ad una Risonanza Magnetica con mezzo di contrasto specifica per la regione anatomica sellare. Ciò permette al Neurochirurgo di confermare la diagnosi, valutando i rapporti della lesione con il tessuto ghiandolare sano e differenziando gli adenomi da altre lesioni che si sviluppano nella stessa regione sellare come:

  • Meningiomi;
  • Craniofaringiomi;
  • Metastasi;
  • Lesioni cistiche.

In alcuni casi, soprattutto nei pazienti con microadenomi ACTH secernenti, sono necessarie alcune sequenze specifiche della Risonanza Magnetica, le cosiddette Sequenze Dinamiche, con lo scopo di identificare in maniera più efficace la sede dell’adenoma che potrebbe non visualizzarsi. Quindi, in tali casi, si può ricorrere a dei prelievi ematici sofisticati, cioè il prelievo di sangue che avviene nei seni venosi petrosi eseguito dai Neuroradiologi per comprendere se l’adenoma si sviluppa nella metà destra o sinistra dell’ipofisi.

risultati di una risonanza magnetica

Quali sono le possibili terapie?

Una volta fatta la diagnosi di adenoma ipofisario il Neurochirurgo in stretta collaborazione con lo specialista Endocrinologo propone al paziente il trattamento, che può essere medico o chirurgico, più indicato, basandosi sulle caratteristiche cliniche, ormonali e dimensionali dell’adenoma.

In caso di Prolattinoma la terapia medica farmacologica è di prima linea ed è efficace in circa il 75% dei pazienti. Si utilizzano farmaci che mimano gli effetti della Dopamina, la sostanza chimica del cervello che normalmente inibisce il rilascio di Prolattina dall’ipofisi.

In tutti gli altri pazienti, compresi quelli con Prolattinoma non responsivo alla terapia medica e/o con effetti collaterali dalla stessa, viene proposta la terapia chirurgica.

La terapia chirurgica degli adenomi ipofisari viene effettuata nella stragrande maggioranza dei casi (più del 90%) mediante un approccio mininvasivo endoscopico endonasale, passando attraverso l’osso sfenoidale. Tale intervento viene effettuato in collaborazione con gli Otorini, i quali preparano, senza incisioni cutanee esterne, la via di accesso alla base del cranio in corrispondenza della cavità del seno sfenoidale. Successivamente il Neurochirurgo rimuove la componente adenomatosa avendo cura di non toccare la ghiandola ipofisaria e di essere quanto più radicale possibile soprattutto nel caso di adenomi secernenti.

Per tale tipologia di intervento si utilizzano dei sistemi di visualizzazione di alta definizione come monitor 4K o 3D, sistemi di navigazione intraoperatoria (il cosiddetto “GPS” del Neurochirurgo) e microstrumenti dedicati. Al termine dell’intervento, in base alla grandezza dell’accesso o in base alla presenza di soluzioni di continuo delle meningi da cui fuoriesce il liquido cefalorachidiano, viene deciso la tipologia di chiusura. Infatti, in alcuni casi si utilizza del grasso o della fascia muscolare del paziente prelevati da una piccola incisione accessoria addominale paraombelicale oppure l’Otorino decide se preparare, in fase di inizio, un lembo di mucosa settale per ottenere una chiusura ermetica del difetto osseo creato. Generalmente, ma non in tutti i casi, si posizionano dei tamponi nasali profondi riassorbibili al fine di gestire al meglio l’emostasi nasale. Nei casi in cui dopo l’intervento il paziente presenti comunque una fuoriuscita di liquorrea dal naso, è necessario un breve reintervento per richiudere la breccia mediante l’utilizzo sempre di materiale autologo più colla di fibrina. La cefalea è il sintomo post operatorio più frequente lamentato dal paziente ed è facilmente gestita dalla terapia farmacologica

Com’è il recupero post-operatorio?

Il periodo post-operatorio richiede la massima attenzione, poiché dopo l’asportazione di adenoma ipofisario i pazienti risultano essere molto delicati e suscettibili di squilibri ormonali   e di sbilanciamento idrico (diabete insipido: aumento della sete e della quantità di urina) e/o di alcuni sali minerali del sangue (soprattutto il Sodio). Per tale motivo la gestione preoperatoria si avvale della preziosa collaborazione dello specialista Endocrinologo che comunque seguirà il paziente anche nella fase post-ricovero. Una volta effettuato l’intervento, il percorso di cura prevede comunque che il paziente sia seguito nel tempo dall’equipe multidisciplinare che comprende Endocrinologo, Neurochirurgo, Otorino, Oculista, Neuroradiologo ed in alcuni casi Radioterapista.

equipe di specialisti

La prima Risonanza Magnetica sellare con contrasto di controllo post-operatoria viene effettuata non prima dei 3 mesi dall’intervento per far sì che il sangue e tutti i materiali di chiusura si siano riassorbiti non interferendo con la visualizzazione di eventuali piccoli residui di adenoma. Pertanto, l’Endocrinologo stabilirà, in accordo con il Neurochirurgo, tramite gli esami post-operatori se il paziente è guarito (in caso di adenomi secernenti) o necessita di altri trattamenti che possono essere farmacologici o radioterapici.

In caso di necessità di radiotrattamento oggi è possibile sfruttare i benefici di una forma ben precisa di radioterapia conosciuta come Gamma Kniferadiochirurgia stereotassica. Questa tecnica non comporta un intervento chirurgico effettivo, poiché utilizza fasci di raggi gamma altamente precisi, che mirano a trattare lesioni di piccole o medie dimensioni. Infatti, i fasci di radiazione gamma si uniscono concentrandosi sulla lesione da trattare, somministrando una dose molto intensa di radiazione.  Si impiega la Radiochirurgia in caso di piccoli residui post-operatori dopo interventi di asportazione di macroadenomi ipofisari oppure in caso di residui di adenomi secernenti che a causa della sede in cui si sono formati, come la vicinanza all’arteria carotide interna o ad alcuni nervi deputati al movimento dell’occhio, rendono particolarmente rischioso un approccio chirurgico.

L’approccio neurochirurgico dal cranio non è del tutto abbandonato ma viene riservato solo al 5% dei casi, in cui a causa della forma e del volume dell’adenoma l’approccio dal naso risulta insufficiente o a rischio di lasciare residui che possono tendere a sanguinare nell’immediato post-operatorio. In alcuni casi specifici è possibile effettuare un intervento combinato transnasale-transcranico con lo scopo di ottenere il massimo della radicalità possibile.

L’intervento chirurgico deve essere effettuato in tempi brevi solo se è presente un quadro clinico di deterioramento progressivo della vista o addirittura in urgenza se tale deficit visivo avviene acutamente come conseguenza di un sanguinamento nel contesto di un macroadenoma ipofisario.

In conclusione, il paziente con adenoma ipofisario richiede oggi un ben preciso percorso di cura in cui è consolidata la presenza di una equipe multidisciplinare che lavora in rapporto costante e continuo e si avvale di sofisticate tecnologie e strumentazioni. 

Neurochirurgia a Reggio Emilia