Ictus e nuove terapie: ci parla uno specialista

Ictus e nuove terapie: ci parla uno specialista

Editato da: Alice Cattelan il 12/04/2023

Il Prof. Michelangelo Mancuso, esperto in Neurologia, ci parla dell’ictus e di come riconoscerlo precocemente per avviare tempestivamente il paziente alle terapie di rivascolarizzazione

In cosa consiste l’ictus e quali sono i suoi sintomi?

L’ictus è una patologia per cui, per un motivo ben preciso, avviene o un’ischemia o un’emorragia cerebrale che fa si che compaiano improvvisamente dei deficit neurologici che possono essere focali o diffusi e che possono portare a grande disabilità o addirittura alla morte del paziente. Classicamente questi deficit sono sempre associati a una lesione dell’encefalo.

I sintomi dipendono dall’area cerebrale che va incontro a sofferenza. Classicamente l’ictus si manifesta il più delle volte con deficit che comprendono paralisi facciale e disturbi di comprensione ed elaborazione del linguaggio, deficit di forza e/o sensibilità di un emisoma,  disturbi dell’equilibrio, disturbi della funzione dei nervi cranici e disturbi visivi.

È possibile prevenire l’insorgenza dell’ictus?

Sicuramente si può fare molto in prevenzione primaria per ridurre il rischio di sviluppare l’ictus, combattendo tutti quei fattori di rischio modificabili e portando così a un netto calo di ictus nella popolazione. Alcuni degli aspetti su cui lavorando si può ridurre il rischio di ictus sono:

  • L’attento monitoraggio dei valori pressori;
  • Il controllo periodico delle carotidi per monitorare la comparsa di aterosclerosi;
  • Il controllo degli esami ematici per combattere l’ipercolesterolemia e il diabete mellito;
  • Controllo periodico dell’ECG e della funzione cardiaca;
  • Agire sulla sedentarietà;
  • Combattere l’abitudine dell’utilizzo del fumo di sigaretta;
  • Stimolare un peso che rientri nei parametri e un’alimentazione il più sana possibile.

Quali sono gli strumenti diagnostici che permettono di riconoscere l’ictus?

È molto semplice riconoscere l’ictus una volta che si ha il sospetto clinico, ed è fondamentale farlo il prima possibile così da intervenire nel paziente il più rapidamente possibile ed evitare danni potenzialmente letali o gravemente disabilitanti. Il sospetto clinico è sufficiente per poter intervenire riavviando il processo di rivascolarizzazione il paziente.


Nel caso della presenza di un ictus ischemico in fase acuta è necessario fare in urgenza una TAC e associare un’Angio TAC, così da ricercare eventuali occlusioni dei vasi arteriosi intracranici.
Oggi abbiamo anche l’opportunità di avere a disposizione dei software di neuroimaging che consentono di stimare quanto tessuto sta soffrendo e quanto è potenzialmente salvabile.
Quindi grazie all’utilizzo di TAC, Angio TAC e nuovi software è possibile quantificare, diagnosticare e prevedere il possibile esito del paziente.

Ci sono degli indicatori che prevedono il riconoscimento precoce dell’ictus?

Gli indicatori che ci forniscono un sospetto di ictus sono fondamentalmente indicatori di tipo clinico e su questi bisogna attivare i campanelli d’allarme tempestivamente perché di fronte al sospetto clinico è necessario intervenire sul paziente. Questo perché, se il paziente sta sviluppando una lesione ischemica, si hanno a disposizione poche ore dall’esordio dei sintyomi per poter riaprire le arterie chiuse e limitare il danno.

Com’è possibile trattare e curare l’ictus?

Le terapie previste per combattere l’ictus ischemico iperacuto sono terapie tempo-dipendenti e vi sono fondamentalmente due opportunità. La prima è la fibrinolisi endovenosa, cioè l’utilizzo di un farmaco in vena che forza la scoagulazione del sangue e ripristina la corretta circolazione delle aree cerebrali affette da ischemia.
Come seconda opzione si può combinare la fibrinolisi endovenosa a un altro approccio, ovvero la trombectomia vascolare, nel caso in cui l’Angio TAC dimostrasse l’occlusione di un grosso vaso cerebrale. In questa modalità, attraverso specifici device e cateteri particolare possiamo entrare nell’arteria chiusa e rimuovere meccanicamente il trombo.
È bene sottolineare che, prima viene aperto il torrente arterioso minore sarà l’area di necrosi e migliore sarà la prognosi del paziente.

 

 

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