Il disagio psichico: dai primi segnali alla valutazione delle cure
Nelle sue diverse varianti, diciamo nel suo ventaglio di forme e intensità, il malessere psichico ha una grande e trasversale compenetrazione nella popolazione generale. Ce ne parla il Dott. Antonio Amatulli, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze, ASST Brianza.
L’incidenza del disagio psichico nel mondo
Dal punto di vista quantitativo, nel 2030 i disturbi psichiatrici (e tra essi, soprattutto la Depressione) saranno la prima causa di disabilità nel mondo, più del cancro o delle patologie cardiovascolari. Oppure si considerino le patologie “minori”, riferibili all’ansia e allo stress, che determinano perdite economiche incalcolabili a causa dei giorni di lavoro persi.
Infine, circa un miliardo di persone al mondo, di cui il 15% minorenni, soffrono di disagio mentale, con diminuzione delle capacità di produzione e reddito per sé, la famiglia, lo stato, oppure richiedono sostegni più o meno importanti, da parte delle organizzazioni (quando ci sono) sanitarie, delle istituzioni, delle famiglie, dei pari.
La scala di grandezza appena accennata, le cui conseguenze sono state solo abbozzate, tralasciando la radicale e abbagliante tragicità della sofferenza soggettiva, moltiplica la sua azione attraverso lo stigma, l’indifferenza, la scarsità di risorse destinate e le diffuse difficoltà di accessibilità a servizi adeguati come problematiche aggiuntive e di non facile soluzione.
Il contesto pandemico, poi, ha messo in evidenza le falle nella resilienza della popolazione: in Italia, circa una persona su cinque ha manifestato un peggioramento dello stato psichico di base, i disturbi mentali negli adolescenti (da ansia a depressione, ad agiti autolesionistici) sono aumentati del 40%, le situazioni caratterizzate da significativo aumento dei livelli di stress si sono incrementate del 15% (ragioni di aumento di esordi depressivi, ansiosi, difficoltà lavorative e relazionali). Ma è utile e preoccupante ritornare a una fascia fragile e importante della popolazione, come gli adolescenti: negli ultimi due anni le visite neuropsichiatriche sono aumentate del 40%, e ogni giorno un adolescente tenta il suicidio.
Quindi, la domanda è: che fare?
Per prima cosa, intervenire precocemente sul disagio. Infatti, nelle situazioni di esordio possibile di un disturbo mentale grave, i primi due anni di trattamento sono altamente prognostici per i successivi 15 anni. Ciò vuol dire che se lavoriamo bene e presto nei primi anni, a lungo termine tali miglioramenti continueranno a farsi sentire. Se al contrario, rallentiamo la comprensione e l’intervento, i primi due anni di possibile non cura e di peggioramento e scadimento delle capacità generali si riverbereranno, con minori possibilità di intervento, per i tre lustri successivi.
Da cosa, quindi, potere capire che “qualcosa non va”?
Naturalmente è più difficile arrivare a un corretto inquadramento di situazioni che insorgono progressivamente, insidiosamente, permettendo a chi vi assiste di darsi risposte semplificatorie e rassicuranti (nulla di strano, è un momento così, poi passa…). Ma chiusure progressive di un ragazzo, improvvisi cambiamenti di amicizie o di tragitti scolastici, una diminuzione dell’attenzione e un aumento del tempo che trascorre in nuovi pensieri, spesso poco comprensibili, a volte esoterici, immateriali, repentini cambi di carattere, di modi di essere, strane modifiche del ritmo del sonno, sintomi fisici poco definiti, ricorrenti, stati pseudodepressivi, subitanei cambiamenti nei gusti, alimentari come interpersonali…, ecco, esistono tanti possibili segnali che richiedono una valutazione attenta. Né un allarme generale né una sottovalutazione (io alla sua età ne ho viste di peggio, e ne sono uscito da solo…).
Inoltre, soprattutto con gli adolescenti non si può non gettare una nuova luce sulla società intera: oggi non esiste più la polarità educativa famiglia/scuola, ma l’“educazione sentimentale” dei ragazzi si forma nella costante identificazione tra pari attraverso i social, nell’ambito anche della liquefazione familiare in una società divenuta fragile e individualista, che non può gettare la croce sui ragazzi o su supposti “cattivi maestri” (ancora i social, i rapper i trapper…). Sono anche i genitori, ora, i nuovi bisognosi di sostengo e cura, talvolta post-adolescenti che si rispecchiano nei figli proiettando su di loro desideri (frustrati) personali. Il quadro, quindi, si fa più generale (e talvolta purtroppo più sfuocato).
L’uso di sostanze stupefacenti. Chiarito che ogni sostanza è dannosa al cervello dei ragazzi, che cresce tumultuosamente (moltiplica le sue cellule) e plasticamente, cioè in continua interconnessione con gli stimoli esterni, e si va così strutturando (poco dopo in vent’anni i giochi sono fatti), l’uso di stupefacenti può facilitare l’insorgenza di quadri psichiatrici; sicuramente la può anticipare e, a quadro instauratosi, l’uso di sostanze o alcol è con totale chiarezza associato a scarsa adesione alle cure adeguate, a un funzionamento generale peggiore e a un peggioramento della prognosi nel tempo.
Abbiamo notato qualche segnale simile a quelli sopra elencati? Abbiamo superato la fase dell’incredulità, del “succede a tanti, poi passa”, oppure quella “sei tu che ti allarmi troppo”, o anche “da ragazzo ne ho passate di molto peggiori, io, vedi che ora si raddrizza”? Che cosa si può fare?
Dopo avere cercato di parlare con loro, dopo la necessaria difficile comunicazione, dopo avere cercato di trasformare i simboli in parole, superando silenzi che non sono ancora psicopatologia, il medico di base può essere un buon inizio, anche eventualmente per ulteriori indagini. Non si possono infatti escludere, comunque, problematiche fisiche, come cefalee primitive, disturbi gastrointestinali, malattie infettive, transitori disturbi del ritmo cardiaco (presenti durante le fasi della crescita) che mettono ansia, o alterano il sonno, o altro ancora.
Se la problematica è psicologica, e se non dipende da un fatto preciso e circoscrivibile (un lutto, una difficoltà oggettivamente grave nella vita quotidiana) oppure se di particolare intensità o bizzarria, allora una consultazione specialistica è importante.
In questo momento la necessità di non sottovalutare un malessere “che non si vede” è di estrema importanza, per quanto detto più sopra; non si deve perdere tempo. Il servizio pubblico, che ha il vantaggio di avere specialisti di esperienza, e di essere una macchina potente e sempre presente, e lo svantaggio proprio della macchinosità, della difficoltà talvolta ad essere ascoltati immediatamente ed empaticamente, è preferibile nei casi più complessi. Con la impegnativa del medico di base ci si rivolge al centro più vicino per un primo appuntamento. I servizi di psichiatria o di neuropsichiatria (questi ultimi per i bimbi e i ragazzi 0-17 anni) erogano le prestazioni necessarie, a partire da primi colloqui di inquadramento, fino ai differenti percorsi di cura necessari, a livello territoriale (ambulatoriale, mono- o multi-professionale) oppure semiresidenziale o residenziale.
TI POTREBBE INTERESSARE ANCHE ---->Disturbi deliranti: caratteristiche e cause
Due importanti raccomandazioni
La prima, in relazione alla psicoterapia. All’inizio si può facilmente pensare a un aiuto, a “qualcuno con cui parlare”, come se si sentisse la necessità di non entrare nel problema troppo bruscamente. Ma la psicoterapia è, per l’appunto, una terapia, che deve quindi essere affrontata dopo che il bisogno è stato correttamente inquadrato. Vi sono tante tipologie di approccio psicoterapeutico (e tanti terapisti…), ognuna, però, da ritagliare sui bisogni del paziente. Se la persona è capace di parlare di sé, ad esempio, se ha capacità comunicative e di comprensione del mondo interno, potrà essere ben utilizzata una dimensione psicodinamica, di lavoro sulle difese psichiche per metterle in gioco e modificarle. Se invece il soggetto fa fatica a mentalizzare, a tradurre le emozioni, a cogliere il senso degli oggetti interni, sarà meglio orientarsi verso tecniche cognitivo-comportamentali, che non modificano le difese psichiche, ma che le “aggirano”, fornendo modalità più realistiche e adattive per gestire le problematiche emotive e di comportamento. Infine, esistono approcci psicoterapeutici da considerarsi più solidi a seguito di conferme scientifiche (ad esempio, la terapia cognitivo-comportamentale nei disturbi fobici), e dovrebbero essere privilegiati. Il terapeuta, quindi, deve essere scelto con attenzione; non si va a far chiacchiera.
La seconda. Non demonizziamo i farmaci. Se consigliati e gestiti con cura, in determinati situazioni sono importanti, quando non indispensabili. I farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale hanno sì degli effetti collaterali (da conoscere e gestire), ma hanno un comprovato beneficio assai maggiore del “rischio”. E in tutti i casi, poi, quando o se non più necessari, possono essere sospesi. Se nell’ambito di una corretta relazione terapeutica (unica a dare senso ed efficacia a tutte le cure) le terapie farmacologiche non determinano alcuna reale dipendenza, non alterano negativamente il cervello, non producono seri e perduranti danni fisici. Solo in alcuni casi sarà meglio conoscere bene i rapporti rischio/beneficio per evitare, ad esempio, rischi di aumenti di peso non desiderabili, o altri disturbi, comunque tutti transitori. In assoluta analogia a ogni altra tipologia di terapia farmacologica.
Conclusione
Se, così, saremo riusciti ad affrontare, nei suoi diversi possibili gradi di severità il malessere psichico, avremo evitato situazioni peggiorative, perdite di opportunità, emarginazione (avere un disturbo psichico prolungato è fattore di rischio a sua volta rispetto all'emarginazione e allo svantaggio sociale ulteriore). È quindi fondamentale che il pregiudizio negativo sui disturbi mentali, come su qualsiasi défaillance emotiva nell’attuale mondo individualista e competitivo, non intralci l’accesso agli aiuti e alle cure più adeguate e opportune, e puntuali, per le persone care che vivono questi tipi di disagi. E, meno che mai, nascondere prima a se stessi e poi agli altri, tali problematiche che, come detto all’inizio, sono poi assolutamente diffuse. E che possono, se non affrontate, arrivare a punti di non ritorno di evidente gravità.