Oggi, molte neoplasie possono essere diagnosticate quando sono in stato iniziale e per il paziente questo implica sia potersi sottoporre a cure meno invasive, sia avere maggiori probabilità di guarire. Lo screening oncologico è dunque di fondamentale importanza. Cerchiamo di capire insieme al Dott. Giovanni Silvano, specialista in Radioterapia Oncologica e Oncologia, quali sono le novità.
Situazione attuale
La Commissione Europea nel 2023 ha aggiornato le raccomandazioni del 2003 per gli screening oncologici, ovvero gli esami consigliati per la diagnosi precoce del cancro, che sono uno dei punti cruciali previsti dal Piano Europeo per la lotta al cancro (Europe’s Beating Cancer Plan). In particolare, lo screening ha dimostrato la sua efficacia per le neoplasie della mammella, del colon-retto, della cervice uterina, del polmone, della prostata, della pelle, della tiroide, in alcuni soggetti ed aree geografiche, anche dello stomaco.
Perché le nuove raccomandazioni?
Nel 2020 circa 2,7 milioni di europei hanno ricevuto una diagnosi di cancro e 1,3 milioni sono morti per una neoplasia. La diagnosi precoce salva la vita e con questo nuovo schema di controlli si copre quasi il 55% dei nuovi casi di neoplasia osservati ogni anno.
In Italia, nel 2020 sono stati stimati 377.000 nuovi casi di cancro. Oggi, grazie ai successi ottenuti negli anni con la prevenzione, le campagne di screening per individuare le neoplasie ai primi stadi, l’approccio terapeutico multimodale che vede insieme il chirurgo, l’oncologo medico e l’oncologo radioterapista oltre all'arrivo di molte terapie innovative e più efficaci (chirurgiche, farmacologiche e radianti) almeno sei malati di cancro su 10 guariscono e la sopravvivenza nel nostro Paese è più elevata che nel resto d’Europa con il 63% dei pazienti vivo a 5 anni dalla diagnosi, mentre la media europea si ferma al 57%.
Le conseguenze del Covid-19
La Commissione Europea ha anche esposto la necessità di recuperare il tempo perduto a causa della pandemia Covid. Un problema più volte sollecitato, sia dagli esperti che dalle associazioni di pazienti, anche nel nostro Paese: il pericolo preannunciato è, infatti, che nei prossimi mesi e anni molte persone, a causa dei controlli rinviati e dei ritardi accumulati negli anni di Covid-19, potrebbero scoprire «in ritardo» di avere un tumore e dovranno quindi sottoporsi a terapie più invasive, oltre ad avere minori speranze di guarigione.
È quindi importante che i cittadini si sottopongano ai programmi di screening, magari con percorsi personalizzati omnicomprensivi tarati anche sulla storia familiare, sulle abitudini voluttuarie, sulla eventuale esposizione lavorativa e cercando di concentrare l’esecuzione dei diversi esami di screening in uno-due giorni e concludere l’intero processo in tre-quattro settimane.
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Come procedere?
È perciò opportuno. già in un primo colloquio, procedere alla raccolta dell’anamnesi familiare, lavorativa e personale del soggetto, così da consigliare in modo mirato e personalizzato i successivi accertamenti di cui alcuni sono standard in funzione di età e genere, altri sono specifici in funzione del profilo di rischio individuale. In genere si tratta di esami semplici da eseguire, non dolorosi, rapidi, il cui esito può fare la differenza per individuare un tumore o eliminare una lesione precancerosa agli esordi. Al termine del percorso, presa visione dei risultati degli accertamenti effettuati, dovrebbe essere predisposta una relazione clinica con l'indicazione a eventuali ulteriori approfondimenti diagnostici, il programma degli accertamenti da effettuare in futuro e la relativa cadenza per il successivo screening.