Mal di schiena: il più frequente tra i disturbi medici

Mal di schiena: il più frequente tra i disturbi medici

Editato da: Antonietta Rizzotti il 22/02/2023

Il mal di schiena è tra i più frequenti disturbi medici. Circa 80% degli adulti soffre di lombalgia in un determinato momento della vita. La maggior parte dei pazienti che soffrono di lombalgia tendono ad avere episodi ricorrenti. La forma cronica colpisce fino al 23% della popolazione mondiale, con una recidiva stimata tra 24% e 80% a un anno. Ne parla il Prof. Francesco Orzi, esperto in Neurologia a Roma

Qual è il compito del neurologo?

Uno dei compiti del neurologo è determinare se il dolore dipende da una malattia della colonna vertebrale o se invece è un disturbo benigno, che non richieda interventi e che si risolva spontaneamente.

Uomo con mal di schiena

Il dolore è spesso locale, nella zona lombare e, benché non ben circoscritto, è in genere limitato alla zona affetta della colonna. A volte il dolore è proiettato (nel linguaggio tecnico “riferito”) al fianco mediale, all'anca laterale, all'inguine, alle natiche inferiori e alle cosce anteriori o posteriori. Il dolore di questo tipo è solitamente diffuso e ha una qualità profonda, d’intensità simile a quella del dolore locale.

In caso di stiramento, irritazione o compressione di una radice spinale, il dolore si irradia a distanza. Questo avviene in circa il 4% dei soggetti con dolore lombare. Il dolore è d’intensità maggiore e non più locale ma esteso al territorio di una radice: gluteo, faccia posteriore della coscia e gamba fino al lato esterno del piede (radice S1); gluteo faccia postero-laterale della coscia, gamba laterale e parte interna della caviglia e piede fino all’alluce (radice L5); gluteo laterale, coscia anteriore-laterale, regione inguinale, parte mediale del ginocchio e gamba (radice L4). Tosse, starnuti, sforzo per evacuazione di feci e soprattutto movimenti del rachide tipicamente evocano questo dolore.

Il medico può provocare il dolore con manovre che allungano la radice del nervo, per esempio con il sollevamento della gamba tesa.

Quali sono le principali cause?

Le cause, in ordine decrescente di frequenza, sono:

  • Ernia del disco intervertebrale;
  • Spondilolisi (scollamento o frattura delle parti interarticolari o della vertebra);
  • Spondilolistesi (scivolamento della vertebra dalla sua posizione normale).

Nei pazienti con grave costrizione circonferenziale della cauda equina (stenosi lombare), il dolore si accompagna a riduzione o perdita della sensibilità alle gambe e caviglie, con debolezza muscolare. La compromissione sensori-motoria e il dolore sono scatenati dalla posizione eretta e dal camminare.

Tipicamente il camminare accentua progressivamente il dolore fino al punto che il soggetto è costretto a fermarsi (claudicatio). Sedersi allieva il dolore. La stenosi spinale è relativamente rara (circa 3%) e in soggetti più anziani.

C’è inoltre un dolore derivante da spasmi muscolari, che si manifesta solitamente in relazione all'irritazione spinale locale. La contrazione muscolare può essere considerata come un riflesso nocifensivo, cioè di protezione delle parti malate contro i movimenti dannosi. Ma la contrazione muscolare prolungata o cronica può dare origine a un dolore locale sordo, a volte a crampi.

Come sopra accennato, il dolore è spesso associato a cause benigne o aspecifiche. Da considerare anche che stress, depressione e ansia costituiscono un rischio di sviluppare dolore cronico. È importante condurre una valutazione psicosociale in tutti i pazienti che presentano sintomi di dolore cronico e gestire attivamente l’eventuale disturbo dell'umore.

In che modo è possibile trattare il dolore?

In generale, il dolore muscoloscheletrico può essere gestito con interventi non farmacologici, che sono quelli da raccomandare inizialmente. Esempi includono: la fisioterapia, che ha la più forte base di prove di efficacia e è quindi la modalità di trattamento preferita; approcci psicologici; terapie complementari che hanno scarsa o nulla evidenza di efficacia e spesso il loro uso è promosso con operazioni di marketing che hanno poco di medico e scientifico, ma dato il loro profilo di sicurezza e il probabile effetto di contribuire ad alleviare la tensione psichica e muscolare in molti casi possono essere suggerite.

Può essere necessaria o opportuna (per esempio, per affrontare importanti impegni di lavoro) una terapia farmacologica, che non sarà curativa, ma potrà essere efficace nell’alleviare temporaneamente il dolore. Sono da preferire gli analgesici non oppioidi, come il paracetamolo o i farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS). I rilassanti muscolari sono spesso usati ma comportano il rischio di sedazione. Gli oppioidi non sono raccomandati per il dolore muscoloscheletrico cronico, poiché sono farmaci ad alto rischio, con pochissime prove di beneficio a lungo termine in questi disturbi. Al paziente possono essere prescritte 6 settimane di terapia con paracetamolo o FANS e modifica dello stile di vita (moderata attività fisica, evitando quelle attività che esacerbano il dolore). In alcuni casi vengono utilizzate iniezioni locali di glucocorticoidi, da considerare solo dopo un periodo di prova di 4-6 settimane di terapia conservativa fallita. Un prerequisito di questa opzione è la RMN lombo-sacrale. Da considerare che questi trattamenti locali possono aiutare ad accelerare il sollievo dal dolore a breve termine ma non alterano i risultati a lungo termine. Sebbene somministrati frequentemente, non c’è dimostrazione invece di alcuna efficacia per i glucocorticoidi somministrati per via sistemica (ad es. prednisone intramuscolo).

Colonna vertebrale

Non è richiesta (al di fuori di particolari condizioni di seguito indicate) alcuna valutazione di imaging, nonostante sia diffuso l’uso di prescrivere una RMN lombo-sacrale. Uno studio recente dimostra che una RMN precoce (per esempio per un dolore lombare acuto) non migliora i vantaggi della condotta medica e è potenzialmente rischiosa perché espone a interventi dannosi, come un eccesso di chirurgia o l’uso di oppiacei (Jacobs et al. 2020).

Quando la chirurgia trova maggiore indicazione?

Gli interventi chirurgici sono infatti raramente appropriati nel contesto acuto, per la lombalgia cronica (ad esempio, fusione spinale lombare, laminectomia, discectomia) sono controversi.

La chirurgia è comunemente usata nei pazienti con sintomi radicolari recalcitranti alla cura non operatoria, in quelli con claudicatio neurogena da stenosi spinale lombare e in quelli con deficit neurologici sostenuti o in peggioramento. Studi che hanno confrontato la chirurgia con interventi strutturati non chirurgici, inclusa una componente cognitivo comportamentale, hanno mostrato risultati funzionali simili. Ma, come prevedibile, gli effetti avversi sono molto più frequenti con la chirurgia. La chirurgia rimane un’opzione se altri interventi non hanno avuto successo.

Alcune caratteristiche del quadro clinico costituiscono “segni di pericolo”, che richiedono una strategia di valutazione più attiva e l'imaging (RMN e/o TC) per escludere eziologie preoccupanti come infezioni o tumori maligni. Esempi di “pericolo” includono: perdita motoria o sensitiva progressiva; deficit neurologici (anestesia a sella, debolezza muscolare); ritenzione o incontinenza urinaria, incontinenza fecale; trauma; uso prolungato di corticosteroidi; età superiore a 70 anni; osteoporosi; procedura spinale negli ultimi 12 mesi; uso di droghe per via endovenosa, immunosoppressione, intervento chirurgico alla colonna lombare a distanza; storia di cancro metastatico; perdita di peso inspiegabile (Will, Bury, and Miller 2018).

Alcuni pazienti con lombalgia acuta continuano a sviluppare una lombalgia cronica. I fattori di rischio per tale progressione includono: obesità (BMI> 30); sesso femminile; età avanzata (> 65 anni); livello di istruzione inferiore; occupazioni fisicamente impegnative; fattori psicosociali, come ansia e depressione. In questi casi è necessario mettere in atto misure di prevenzione.

Neurologia a Roma