Prostatectomia radicale e incontinenza urinaria
La prostatectomia radicale è un intervento comune per la gestione del tumore alla prostata, ma può essere associata a una complicanza significativa: l'incontinenza urinaria. Ce ne parla in questo articolo il Prof. Emilio Sacco
Quanto frequente è l’incontinenza dopo prostatectomia radicale?
La perdita involontaria di urina con gli sforzi fisici o semplicemente in posizione eretta (incontinenza da sforzo) è una nota complicanza della prostatectomia radicale, comunque la si effettui. Questo disturbo, presente con elevata frequenza (40-70% dei casi) nelle prime settimane successive all’intervento, va scomparendo nei mesi successivi nella maggioranza dei casi, con velocità variabile da individuo a individuo. A distanza di un anno dall’intervento, dal 10% al 35% dei pazienti utilizza ancora almeno un assorbente al giorno per perdite di urina che, a seconda della gravità, possono andare da poche gocce ad oltre un litro al giorno.
Ci sono dei fattori di rischio?
Si. È ben noto che i pazienti più a rischio sono quelli più anziani (ultrasettantenni), quelli con tumore più avanzato o con volume prostatico particolarmente elevato, gli obesi, quelli precedentemente sottoposti a interventi alla prostata, o sottoposti a radioterapia prima o dopo l’intervento. Anche una ridotta lunghezza dell’uretra membranosa, quella circondata dal muscolo sfintere, incide sul rischio di incontinenza.
Si può prevenire?
Si, ma non in tutti i pazienti. Essendomi da sempre occupato anche di cura dell’incontinenza urinaria maschile e femminile, e conoscendo bene il tremendo impatto negativo che le perdite di urina hanno sulla qualità di vita, sono molto sensibile alla prevenzione dell’incontinenza nei miei pazienti. Personalmente ho avuto modo di acquisire un’elevata esperienza nelle varianti di tecnica chirurgica atti a ridurre al minimo la probabilità di un’incontinenza persistente dopo prostatectomia, sia attraverso la frequentazione di prestigiosi centri e convegni urologici nazionali e internazionali, sia attraverso una lunga pratica in chirurgia prostatica a cielo aperto e laparoscopica con sistemi robotici diversi (Da Vinci, Hugo RAS).
I tre approcci strategici cui solitamente mi affido nella prevenzione dell’incontinenza sono:
- Diagnosi precoce;
- Evitare il trattamento chirurgico quando possibile, preferendo la sorveglianza attiva;
- Quando necessario, esecuzione della prostatectomia con approccio laparoscopico robot-assistito mediante l’utilizzo della piattaforma robotica attualmente più consolidata (sistema Da Vinci).
La tecnica chirurgica può influenzare il rischio di incontinenza?
Assolutamente si. Numerose varianti tecniche sono state descritte come capaci di ridurre sensibilmente la frequenza, la gravità e la durata dell’incontinenza postoperatoria. Le tecniche chirurgiche che prediligo sono quelle che preservano il più possibile le strutture del paziente e più scientificamente consolidate:
- Accurata preservazione del collo vescicale dove si trova una parte del muscolo sfintere (sfintere liscio);
- Meticolosa preservazione del muscolo sfintere uretrale esterno e della lunghezza dell’uretra membranosa (la parte dell’uretra deputata alla continenza);
- Preservazione delle fasce e ligamenti che tengono l’uretra in sede;
- Preservazione dei nervi che circondano la prostata e che servono sia per l’erezione che per la continenza.
E in caso di incontinenza, ci sono delle cure?
Assolutamente si. Oggi, quasi nessun paziente incontinente è condannato a soffrire di questo disturbo per sempre. Innanzitutto, la fisioterapia postoperatoria può accelerare il recupero della continenza. Laddove questa persista oltre i 6-12 mesi, bisogna considerare un trattamento chirurgico. Personalmente consiglio l’impianto di una sling sottouretrale per le forme di incontinenza leggera o moderata (perdita fino a 400 ml di urina al giorno) e senza fattori complicanti (radioterapia, pregressi interventi falliti, pregresse stenosi dell’uretra), e l’impianto di uno sfintere uretrale protesico per quelle più gravi o che interessano pazienti con fattori complicanti. Si tratta di interventi a ridotta invasività e con ottime probabilità di cura del problema.