Scopriamo nel seguente articolo quali sono gli approcci terapeuti per la fibrillazione atriale
Quali trattamenti vengono impiegati?
Una volta diagnosticata la fibrillazione atriale, il trattamento si basa su due pilastri: il primo è la valutazione del rischio tromboembolico del paziente e l’avvio di una terapia anticoagulante, se indicata; mentre il secondo consiste nello scegliere tra controllo del ritmo o controllo della frequenza, ovvero se si preferisce eliminare la fibrillazione atriale, mantenendo il normale ritmo sinusale cardiaco, o, se all’opposto, si preferisce cronicizzare la fibrillazione atriale, di fatto rendendola il ritmo permanente del cuore del paziente.
La scelta tra queste due strategie si basa su numerosi elementi, principalmente i sintomi del paziente, la presenza di eventuali cardiopatie e comorbilità sottostanti, la durata dell’aritmia e le dimensioni dell’atrio sinistro. Una volta deciso per il controllo del ritmo, questo può essere fatto mediante l’utilizzo di farmaci antiaritmici o mediante l’ablazione transcatetere.
L’età del paziente è un elemento importante nella scelta di come trattare la fibrillazione atriale?
Mentre una volta l’età del paziente era di fatto una barriera sopra la quale il controllo del ritmo, e l’ablazione transcatetere in particolare, non venivano di fatto più proposte; oggi, la situazione è profondamente mutata.
Non conta l’età del paziente ma le sue condizioni generali. Infatti, un paziente anche ultra ottantenne, ma in condizioni ottime, può avvantaggiarsi dal mantenimento del ritmo sinusale allo stesso modo di un paziente di 30 anni.
Si può guarire dalla fibrillazione atriale?
Sì, si può guarire dalla fibrillazione atriale. È importante però chiarire che questo obiettivo si può perseguire solo mediante l’utilizzo dell’ablazione transcatetere.
I farmaci antiaritmici possono ridurre, o raramente eliminare, per qualche tempo gli episodi aritmici, ma non modificano in maniera permanente il substrato che ha causato la fibrillazione atriale. Pertanto, una volta sospeso il farmaco, l’aritmia ritorna.
L’ablazione, andando ad agire fisicamente sul substrato responsabile dell’aritmia, ha invece il potenziale di eliminare la fibrillazione atriale, portando quindi il paziente alla guarigione. La probabilità con cui ciò si può verificare dipende principalmente dal tipo di fibrillazione atriale, dalle condizioni del cuore sottostante e dal tipo di schema ablativo che si decide di effettuare.
Pazienti con fibrillazione atriale parossistica e cuore sano hanno una probabilità di guarire molto alta, oltre il 70-80%. D’altra parte, pazienti con grave cardiopatia strutturale (es. patologie valvolari mitraliche o cardiomiopatia ipertrofica) e forme di fibrillazione atriale di lunghissima durata (FA continuativa per oltre 12 mesi) hanno percentuali di guarigione decisamente più basse, sui 40-50%.
Che cos’è l’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale?
L’ablazione transcatetere è una procedura mini-invasiva mediante la quale, passando dalle vene o dalle arterie dell’inguine, è possibile portare dei piccoli cateteri dentro il cuore e, mediante questi, effettuare delle bruciature molto selettive del tessuto cardiaco patologico responsabile delle aritmie, eliminando così l’aritmia stessa.
Nel caso della fibrillazione atriale i cateteri vengono portati all’interno dell’atrio sinistro e le bruciature sono finalizzate principalmente ad isolare elettricamente le vene polmonari, ovvero a creare un corridoio di cicatrice intorno all’ostio delle vene polmonari che ne blocchi la propagazione dell’impulso elettrico patologico dalle vene polmonari stesse al tessuto atriale.
L’ablazione della fibrillazione atriale come può essere fatta?
Per l’ablazione della fibrillazione atriale si possono utilizzare tre principali fonti di energia: la radiofrequenza, la crio-energia col crio-pallone e l’elettroporazione.
Per quanto riguarda il trattamento della fibrillazione atriale parossistica, tutte queste tre fonti di energia hanno mostrato in letteratura risultati clinici molto ma molto simili: la scelta di quale energia utilizzare in questi casi si basa quindi essenzialmente sulle preferenze soggettive dell’operatore, giacchè una tecnica non è meglio dell’altra.
Invece, per quanto riguarda il trattamento della fibrillazione atriale persistente o long-standing persistent (o permanente), l’utilizzo dei cateteri a radiofrequenza è a mio avviso di gran lunga preferibile rispetto alle due altre metodiche disponibili, grazie alla loro maggior efficacia clinica e alla miglior adattabilità a qualunque schema ablativo e a qualunque tipo di aritmia che si può incontrare durante tali procedure.
Che cos’è l’ablazione endo-epi della fibrillazione atriale utilizzata all’Ospedale Mauriziano di Torino?
L’ablazione della fibrillazione atriale è eseguita storicamente e ubiquitariamente con approccio endocardico, ovvero, mediante la puntura delle vene dell’inguine, i cateteri vengono portati dentro il cuore e l’ablazione viene fatta dal versante interno del cuore (ovvero dall’endocardio).
Questo approccio, che viene proposto in tutti i centri, ha il limite che se il tessuto cardiaco sottostante da bruciare è molto spesso non si riuscirà a raggiungere la transmuralità della lesione, ossia a bruciare completamente il tessuto patologico. In tale modo, residuando ancora del tessuto cardiaco patologico, il rischio di recidive di fibrillazione atriale dopo la procedura di ablazione è altissimo.
Invece, con l’approccio endo-epi (approccio che in Italia viene eseguito esclusivamente presso il nostro centro, all’Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino) la bruciatura del tessuto cardiaco patologico viene eseguita contemporaneamente sia dal versante interno, l’endocardio (approccio classico), che dal versante esterno del cuore, ovvero dall’epicardico. In tal modo la bruciatura è molto più profonda, transmurale ed efficace. L’acceso all’epicardio avviene mediante puntura sub-xifoidea, ovvero mediante una puntura al di sotto del costato. Tale approccio integrato endo-epi permette di aumentare l’efficacia dell’ablazione delle forme di fibrillazione atriale più difficili, ovvero quelle persistenti e/o permanenti, del 30-40%, a parità di rischi operatori maggiori.