Reflusso gastroesofageo: diagnosi e soluzioni

Reflusso gastroesofageo: diagnosi e soluzioni

Editato da: Monica Fato il 07/04/2022

Il reflusso gastroesofageo è un disturbo molto diffuso. Il Prof. Bruno Benini, Chirurgo generale, ci parla di come si manifesta e di come gestirlo

Reflusso gastroesofageo: di cosa si tratta?

L’esofago, il lungo tubo che porta il cibo allo stomaco è dotato alla sua estremità di una sorta di valvola, che si chiama sfintere esofageo inferiore (LES) o, più comunemente, cardias. Questa valvola ha il compito di impedire al contenuto dello stomaco, che è per lo più acido, di risalire. Infatti, dopo il passaggio del cibo, il cardias si chiude. Alcune persone, per motivi ancora non chiariti del tutto, soffrono della mancata chiusura di questa valvola. In questo caso, il contenuto dello stomaco può risalire verso l’alto, raggiungendo in alcuni casi addirittura la valvola. Questo è il reflusso, o meglio, il reflusso gastroesofageo.

Sintomi tipici o atipici

Molte persone soffrono di brevi episodi di reflusso, soprattutto nei cambi di stagione o dopo un pasto abbondante, e per lo più non richiedono terapie se non un antiacido ai sintomi. Quando, però, il reflusso è quotidiano si parla di malattia da reflusso gastroesofageo. Che sintomi lamenta il paziente? I più diffusi sono quelli digestivi: gonfiore a livello gastrico, dolore subito sotto o dietro allo sterno, che si irradia posteriormente verso la colonna vertebrale e fa dire al paziente di sentirsi “trafitto da una spada”, acidità e bruciore dietro allo sterno o in gola. A questi sintomi “tipici” possono associarsi quelli “atipici”: il più frequente è il “nodo in gola”, talvolta anche con difficoltà a deglutire, ma possono essere presenti tosse o altri disturbi respiratori (bronchiti ricorrenti o asma), dolore alle orecchie, erosioni dentarie e così via.

Come avviene la diagnosi?

La diagnosi iniziale viene fatta con una gastroscopia, che dimostra la mancata chiusura (beanza) del cardias. Segue la terapia medica che, generalmente, è efficace nella maggioranza dei casi. Si tratta di antiacidi e di farmaci che bloccano la secrezione acida dello stomaco, detti inibitori di pompa protonica. A questi va associata una dieta che escluda i grassi, la menta, il cioccolato, gli agrumi e tutti quegli alimenti di digestione difficile. 

Quando ricorrere alla terapia chirurgica?

Esiste però una quota di pazienti che non rispondono alla terapia o che, dopo un miglioramento iniziale, alla sospensione della cura lamentano una ripresa della sintomatologia od, ancora, pazienti che non vogliono sottostare alla terapia a vita (anche perché questa non è priva di effetti collaterali). Questo gruppo di pazienti può sicuramente giovare della terapia chirurgica, che ricostruisce, con gli stessi tessuti del paziente, la valvola e permette di inibire il reflusso. Il grado di soddisfazione dei pazienti, valutato a vent’anni dall’intervento si aggira sull’80%, come ci dicono studi multicentrici internazionali.

L’intervento per la correzione del reflusso gastroesofageo, che spesso è associato all’ernia iatale, si cura contemporaneamente e viene eseguito in laparoscopia; questa tecnica, che non prevede tagli, ma solo incisioni di pochi millimetri, permette una rapida ripresa del paziente che può essere dimesso già due giorni dopo l’operazione. Naturalmente, prima di procedere chirurgicamente, sono necessari una serie di esami che consentono al chirurgo di “personalizzare” l’intervento, a seconda della situazione del paziente.

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