L’idrocefalia si cura in endoscopia, scoprilo con noi!

L’idrocefalia si cura in endoscopia, scoprilo con noi!

Editato da: Cecilia Ghidotti il 06/10/2023

L’idrocefalo è una delle patologie più comuni in ambito neurochirurgico. Tra le varie tipologie di trattamento, l’intervento endoscopio è sicuramente la più efficace. Il Dott. Luca Massimi, esperto in Neurochirurgia a Roma, ce ne parla in questo articolo

Che cos’è l’idrocefalo e che problemi può dare?

L’idrocefalo è un accumulo patologico di liquor cefalorachidiano all’interno del cervello. Il liquor è un fluido utile alle funzioni e alla protezione del tessuto cerebrale e viene costantemente prodotto e riassorbito ogni giorno dal cervello stesso. Esso scorre all’interno di cavità chiamate ventricoli cerebrali. Un ostacolo al suo deflusso (malformazioni, emorragie, tumori ecc.) può causarne il ristagno (anche definito “ventricolomegalia”) che, superati i limiti di compenso da parte del cervello e del cranio, sfocia in vero e proprio idrocefalo con aumento della pressione all’interno del cranio. Si tratta di una delle patologie più frequenti in neurochirurgia, specialmente nei bambini (incidenza 0,5-1/1000 in soggetti < 18 anni) e nelle persone anziane (incidenza 50-100/100000 in soggetti > 65 anni). Nei neonati e lattanti si manifesta con crescita eccessiva della testa, tensione delle fontanelle, pianto inconsolabile, difficoltà nell’alimentazione. Nei bambini più grandi e negli adulti causa cefalea (mal di testa), vomito, disturbi della vista, calo della concentrazione e disturbi dell’apprendimento o calo di rendimento nel lavoro. Negli anziani spesso ha caratteristiche subdole quali decadimento cognitivo (soprattutto disturbi della memoria), difficoltà nel camminare e incontinenza urinaria.

Come si tratta l’idrocefalo e cos’è l’endoscopia cerebrale?

La cura dell’idrocefalo consiste o nel rimuovere il liquido in eccesso dal cervello oppure nel ripristinarne lo scorrimento. Il primo tipo di trattamento prevede l’inserimento di un piccolo tubo all’interno dei ventricoli cerebrali (catetere ventricolare) a sua volta collegato ad una valvola per la regolazione del flusso del liquor che, infine, si collega ad un altro sottile tubo inserito all’interno dell’addome (derivazione ventricolo-peritoneale) o dell’atrio cardiaco destro (derivazione ventricolo-atriale). La derivazione è una protesi che è posizionata nel sottocute e assicura il controllo dell’idrocefalo ma può avere complicazioni legate alla sua ostruzione, rottura, dislocamento, infezione ecc. Il secondo tipo di trattamento, che va sotto il nome di endoscopia cerebrale o neuroendoscopia, è più fisiologico in quanto non richiede protesi. Si realizza introducendo nei ventricoli cerebrali uno strumento (l’endoscopio) collegato ad apposite telecamere: esso consente al neurochirurgo di perforare alcune membrane per permettere al liquor di riprendere a circolare. La procedura più diffusa è la terzoventricolostomia (perforazione del pavimento del terzo ventricolo) seguita dalla settostomia, dalla foraminoplastica e dall’acqueduttoplastica. Ogni tecnica prevede l’apertura di una diversa “via” al passaggio del liquor, a seconda del tipo di idrocefalo, senza necessità di usare protesi e con tempi chirurgici brevi (solitamente attorno ai 30 minuti). Nell’intervento endoscopico vengono spesso utilizzati laser (appositamente disegnati per la neuroendoscopia) e il neuronavigatore che aumentano la precisione e la sicurezza della procedura. 

Tutti i pazienti possono essere trattati con endoscopia?

Il limite principale dell’endoscopia è che non tutti i pazienti possono essere candidati a questo intervento ma, in media, uno su tre. Per quanto riguarda l’idrocefalo, esso deve essere di tipo “ostruttivo” (detto “biventricolare”, “triventricolare” o “tetraventricolare” a seconda del numero di ventricoli coinvolti), cioè deve essere presente un ostacolo al flusso liquorale (infatti, se l’idrocefalo fosse “comunicante”, ossia il liquor fosse già in grado di scorrere, non avrebbe senso creare una strada alternativa al suo deflusso). Le cause più comuni di idrocefalo ostruttivo sono cisti colloidi e neoplasie della regione ottico-ipofisaria come gliomi, adenomi ipofisari giganti o craniofaringiomi (idrocefalo biventricolare), stenosi dell’acquedotto di Silvio o tumori della fossa cranica posteriore o della regione pineale (idrocefalo triventricolare), stenosi dei forami del IV ventricolo, malformazione di Chiari o emorragie cerebrali (idrocefalo tetraventricolare). Per quanto riguarda i pazienti, l’endoscopia è poco efficace nei bambini al di sotto dei 3-6 mesi di vita, in particolare se con idrocefalo associato a spina bifida, emorragie del prematuro o meningite. Tuttavia, la neuroendoscopia è usata molto spesso anche in questi pazienti poiché serve a semplificare l’idrocefalo (ad esempio, con la perforazione di cisti e compartimenti che si formano a seguito di emorragia o infezione) rendendo più semplice ed efficace la derivazione. Tutti i pazienti candidabili all’endoscopia sono sottoposti a risonanza magnetica (RM) dell’encefalo preoperatoria e a controlli clinici e radiologici postoperatori periodici (sempre con RM). Questi ultimi sono richiesti poiché esiste un rischio, anche se basso, che le membrane perforate con l’endoscopio ricrescano e l’endoscopia debba essere ripetuta.         

Neurochirurgia a Roma