L'ipertensione arteriosa secondaria a chemioterapia oncologica

L'ipertensione arteriosa secondaria a chemioterapia oncologica

Editato da: Serena Silvia Ponso il 09/02/2023

I progressi della chemioterapia oncologica hanno migliorato, talora drasticamente, la prognosi a lungo termine delle patologie neoplastiche, ma hanno anche comportato lo sviluppo di effetti collaterali di natura cardiovascolare, tra cui tossicità cardiaca, fenomeni tromboembolici e ipertensione arteriosa. In considerazione di questo tipo di problematiche, si è recentemente sviluppata la cardioncologia, una nuova branca della cardiologia strettamente integrata con l'oncologia

Quanto è frequente l’insorgenza di ipertensione arteriosa a seguito della chemioterapia? 

Di fatto, l'ipertensione arteriosa secondaria a chemioterapia, che rappresenta la complicanza cardiovascolare di gran lunga più frequente, è stata descritta come effetto secondario per praticamente tutte le classi dei farmaci chemioterapici, ma molto più frequentemente per alcune di essi.

In particolare, un peggioramento del controllo pressorio, seguito dalla sua normalizzazione dopo la sospensione dei cicli terapeutici, è stato riportato in percentuali vicine al 100% dei pazienti oncologici in trattamento con inibitori del cosiddetto fattore di crescita dell'endotelio vascolare utilizzato nel trattamento di svariate forma di neoplasia. Percentuali meno marcate ma comunque decisamente elevate sono state riportate anche nel caso di altre classi di farmaci usati nel trattamento di malattie onco-ematologiche.

 

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Come si gestisce l'ipertensione arteriosa secondaria a chemioterapia?

La valutazione accurata dei livelli pressori è il primo e fondamentale passaggio per la gestione dell'ipertensione secondaria al trattamento chemioterapico, anche per escludere effetti aspecifici dell'ansia e del dolore cronico, frequenti in questi pazienti.

La determinazione della pressione arteriosa delle 24 ore (il cosiddetto "Holter pressorio") o la misurazione domiciliare da parte del paziente stesso sono ulteriori e utili mezzi diagnostici di cui avvalersi.

Una volta accertata la persistenza di livelli pressori >140/90 mmHg e valutato accuratamente lo stato cardiovascolare del paziente, è opportuno iniziare il trattamento farmacologico antipertensivo o intensificare quello in atto mirando a mantenere, se possibile, i livelli pressori al di sotto dei 130/80mmHg. Importante anche ridurre l'assunzione di sodio e limitare, ove possibile, l'uso di farmaci antinfiammatori non steroidei usati per il controllo del dolore e di altre terapie che possono esacerbare l'ipertensione come agenti stimolanti l'eritropoietina e corticosteroidi.

Valori pressori superiori severamente elevati (>180/110 mmHg) richiedono evidentemente un trattamento urgente per evitare il rischio di eventi cardio- e cerebrovascolari acuti, e soprattutto per evitare di sospendere la terapia antitumorale, come raccomandato dai documenti di consenso in materia.

Quali sono i farmaci indicati per il trattamento dell'ipertensione?

Bloccanti del sistema renina-angiotensina, calcio antagonisti diidropirinici e diuretici tiazidici o similtiazidici, da soli o eventualmente in combinazione con spironolattone nel caso di ipertensione arteriosa resistente al trattamento antipertensivo, consentono di ottenere un controllo efficace dei valori pressori nella grande maggioranza dei casi.

 

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