Ormonoterapia: combattere il cancro con gli ormoni, si può fare!

Ormonoterapia: combattere il cancro con gli ormoni, si può fare!

Editato da: Antonio Mazzaglia il 22/02/2023

L’ormonoterapia, in termini oncologici, è una risposta terapeutica al carcinoma mammario, al carcinoma prostatico e al carcinoma dell'endometrio. Il Prof. Vincenzo Iaffaioli, esperto in Oncologia a Napoli, spiega quando è opportuno prenderla in considerazione

Cosa sono gli ormoni?

Gli ormoni possono essere definiti come molecole, ma più che molecole sono dei veri e propri messaggeri chimici che vengono trasmessi da un organo centrale, o da una ghiandola endocrina, ad altre ghiandole endocrine o ai tessuti dell'organismo. Essi sono molto numerosi ed hanno funzioni estremamente diversificate ma tutte di notevole importanza.

E l’ormonoterapia?

L’ormonoterapia, invece, è un termine un po' generico se non lo si applica agli aspetti tumorali, o agli aspetti neoplastici, perché non è una tipologia di trattamento che si applica soltanto alle neoplasie, ma anche alle patologie che con le neoplasie vere e proprie non hanno niente a che fare come ad esempio il trattamento per l’endometriosi, che è una malattia importante ma che dovrebbe presupporre un trattamento ormonoterapico e, a volte, anche il trattamento chirurgico.

Qualora ci si volesse soffermare all’ambito oncologico medico invece, l’ormonoterapia fa riferimento soprattutto al carcinoma mammario, al carcinoma prostatico e al carcinoma dell'endometrio.

Ci spieghi in breve cosa sono i recettori ormonali

Una buona parte delle neoplasie mammarie presenta quelli che noi chiamiamo da sempre “recettori ormonali”, ovvero dei siti presenti sulle cellule tumorali, e non solo, che sono il bersaglio di ormoni che vengono da altri siti dell'organismo, di metaboliti, e cataboliti, ai quali rispondono in maniera diversificata soprattutto se sono fortemente presenti e possono, dunque, essere un preludio al carcinoma mammario. Almeno in una discreta percentuale, che è nettamente superiore al 30%, come si pensava fino a qualche anno fa.

Infatti, si è visto poi che è più alta e che allo studio dei recettori ormonali bisogna aggiungere altri fattori biologici, altri recettori per anticorpi monoclonali ed altri aspetti che si vanno approfondendo man mano che la ricerca ci fornisce queste notizie, anno dopo anno. I risultati più importanti sono stati conseguiti da almeno 30 anni a questa parte con l'impiego di inibitori recettoriali.

Come agiscono gli inibitori recettoriali?

Le cellule tumorali sono provviste di un recettore che un inibitore recettoriale riesce a bloccare, sostituendosi agli estrogeni ed impedendone l’arrivo. Così non avviene la proliferazione delle cellule staminali. È questo il loro meccanismo d’azione.

Esistono anche altre molecole, per esempio gli inibitori dell'aromatasi, che sono almeno tre gruppi ed il meccanismo d’azione è sostanzialmente diverso: si inibisce metabolicamente, si inibiscono gli androgeni che vengono dalle capsule surrenaliche, dalla cute e dall'adipe, perché gli estrogeni non vengono prodotti soltanto dalle ovaie ma anche da questi altri organi. Questa inibizione, dunque, fa sì che una minore quantità di estrogeni venga prodotta a valle.

Vi sono studi recenti in merito?

Sì, vi sono studi dell'American Society Clinical Oncology, che risalgono a circa due anni or sono, che dimostrano come un incremento di durata del trattamento può favorire la mancanza di recidive a lunga distanza dallo stesso. 

È l’unica alternativa valida?

No, esistono anche altre molecole che possono sia inibire il recettore, sia disturbare la morfologia di quest’ultimo. Quindi gode di un doppio meccanismo d'azione che, tra l'altro, è stato sfruttato recentemente negli studi Paloma 123. Esistono molecole che possono essere associate ad un inibitore di natura differente e che inibiscono direttamente il ciclo cellulare e quindi il raddoppiamento del DNA.

Per fortuna la terapia ormonale del carcinoma mammario, ma, in parte, anche per il carcinoma della prostata, viene somministrata oralmente, con alcune eccezioni.

Si tratta di prendere una sola compressa la sera dopo cena, senza interruzione, quindi la somministrazione è sicuramente comodissima e gli effetti terapeutici sono di estremo interesse sia in fase adiuvante, quindi dopo l'intervento chirurgico, che alla ripresa della malattia. In pazienti in cui la presenza del recettore per gli estrogeni, soprattutto in quelli dove sono presenti recettori per il progesterone, le possibilità di risposta terapeutica sono notevoli.

Esiste un modo per accrescerne le portata?

Queste possibilità di risposta terapeutica vengono poi accresciute dalla presenza di un altro recettore, l’Erb B2, che viene molto sfruttato dall'impiego di un anticorpo monoclonale apposito e che determina la possibilità di una doppia somministrazione.

L’azione congiunta del farmaco ormonale, dell’anticorpo monoclonale e di questo trattamento, è molto efficace sia in fase adiuvante (trattamenti di 1 o 2 anni), sia e soprattutto in fase di malattia avanzata, quando si tratta di pazienti aventi contemporaneamente la presenza di recettori ormonali e del recettore per l'anticorpo monoclonale anti Erb B2.

Quali obiettivi si prefigge l’ormonoterapia?

L'obiettivo della ormonoterapia, ovviamente, sarebbe quello di garantire la guarigione ed è molto probabile che una buona parte delle nostre pazienti affette da carcinoma mammario, in fase iniziale di malattia e con elevata presenza di recettori, possa sortire questo effetto. La percentuale non è bassissima.

Le altre possibilità riguardano invece le risposte alla sopravvivenza, libera dalla malattia o dalla sua progressione, quando la malattia viene trattata già in fase avanzata. Anche qui le risposte sono statisticamente di notevole rilievo e sono dei veri e propri trattamenti citostatici che vengono effettuati soltanto quando questi trattamenti di prima linea, in pazienti idonee, siano stati superati dall'evoluzione della malattia.

La terapia prevede effetti collaterali particolarmente fastidiosi?

Gli effetti collaterali non sono poi così importanti. Gli inibitori dell'aromatasi danno disturbi abbastanza banali come dolenzie articolari, per esempio, e possono dare un po' di nausea ma se l'assunzione si limita al dopo cena gli effetti sono assolutamente limitati.

Da molti anni ormai non si incappa più in questi effetti indesiderati, disturbi vascolari tipo trombosi venose, perché c'è la possibilità, in premenopausa, di attingere ai trattamenti inibitori dell'aromatasi. Con l'aggiunta di agonisti LHRH dunque, si genera una menopausa cosiddetta chimica che, se assistiti dagli inibitori dell'aromatasi, garantisce un notevole effetto di protezione.

 

Oncologia a Napoli