Parkinson e disturbi psichiatrici: un viaggio nella nostra mente

Parkinson e disturbi psichiatrici: un viaggio nella nostra mente

Editato da: Antonietta Rizzotti il 06/11/2023

Attualmente in Italiana si contano quasi mezzo milione di malati di Morbo di Parkinson. Solitamente però, si tende a vedere solamente le ripercussioni fisiche della patologia sul paziente, ma come agisce sul nostro cervello e quali disturbi psichiatrici ne possono scaturire? Ce ne parla il Dott. Marco Onofrj, esperto in Neurologia a Pescara e San Salvo

Quali Disturbi Psichiatrici derivano dal Morbo di Parkinson?

La malattia di Parkinson non è in realtà una malattia caratterizzata solo da tremore, lentezza e rigidità, come si era generalmente creduto pressappoco fino alla fine dello scorso secolo.
Disturbi psichiatrici e cognitivi sono estremamente frequenti ed includono depressione e allucinazioni, disturbi psicosomatici, in alcuni casi disturbi del contenuto del pensiero con ideazioni deliranti, disturbi compulsivi. I Disturbi Psichiatrici predicono la comparsa, a distanza di tempo, di un peggioramento delle competenze cognitive.

Quali sono le ragioni anatomiche alla base dei Disturbi Psichiatrici nel Parkinson?

In realtà la Malattia di Parkinson come è compresa ora, non corrisponde più a quella che veniva descritta nei manuali di Neurologia. Sono state identificate diverse mutazioni genetiche che determinano la comparsa dei tre segni classici (tremore, lentezza e rigidità) e molte di queste sono associate da aumentata e precoce frequenza di disturbi psichiatrici e declino cognitivo (per esempio le mutazioni LRRK2, GBA, PRKN). In molti pazienti le alterazioni genetiche non sono facilmente identificabili, perché più geni sono coinvolti. In ogni caso l’inizio delle alterazioni patologiche avviene nella parte evolutivamente più antica del cervello, ossia il troncoencefalo, che possiamo descrivere come il bulbo che sorregge la infiorescenza dei lobi e circonvoluzioni cerebrali.

Usando questa metafora, possiamo spiegare che il cervello umano è fiorito evolutivamente, sviluppandosi soprattutto nella parte dei lobi frontali, che sono quelli che controllano la realtà circostante, l’attenzione, la ricchezza del linguaggio, la capacità di giudizio e le interazioni sociali. I lobi frontali sono definiti “l’anima del cervello” o il “direttore d’orchestra “di tutto il cervello. La fioritura evolutiva dei lobi frontali è stata tale che il volume di questi, nell’uomo, è diverse decine di volte maggiore che nel primate geneticamente più prossimo (lo scimpanzé).

Però i lobi frontali sono cresciuti, ma non è cresciuto altrettanto il bulbo che li sorregge: il problema non è il peso ma il “wiring”, ossia la quantità di connessioni che partono dal troncoencefalo e alimentano la neurotrasmissione nei lobi frontali. Essendo il troncoencefalo rimasto pressoché uguale durante l’evoluzione, dai suoi nuclei devono partire connessioni molto più numerose. Il gran numero di connessioni fa sì che ci si trovi in una condizione di equilibrio complessa e quindi molto più vulnerabile. Su questa condizione vulnerabile agiscono meccanismi diversi, metabolici, tossici, infettivi che ne determinano il malfunzionamento. L’instabilità delle proiezioni dal tronco dell’encefalo al grande volume dei lobi frontali determina alterazioni delle funzioni dei lobi frontali, quindi:

  • l’interpretazione della realtà condivisibile diventa deficitaria (delirio);
  • la percezione degli stimoli viene distorta (illusioni, allucinazioni, somatizzazioni);
  • il comportamento diventa disinibito;
  • la capacità di giudizio decade.

La figura acclusa mostra l’evoluzione dei lobi frontali e l’aumento del numero di rami che devono partire da ogni singola cellula nervosa del troncoencefalo per rifornire di neurotrasmettitori i grandi lobi frontali dell’uomo.

 

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Neurologia a Pescara