La psicoterapia con gli adolescenti e con i loro genitori

Pubblicato il: 28/07/2023 Editato da: Sharon Campolongo il 28/07/2023

Il lavoro terapeutico da fare insieme agli adolescenti è diverso a seconda della gravità dei problemi portati, ma in ogni caso resta importante e fondamentale, alla base del buon esito dell’intero percorso, la costruzione dell’alleanza terapeutica, che si deve basare sulla fiducia, sull’ascolto, sull’autenticità. Approfondiamo questo argomento con la Dott.ssa Enza Zarcone, specialista in Psicologia e Psicoterapia

Dott.ssa Zarcone, com’è il suo approccio?

Il mio approccio sistemico-relazionale, si basa sul potenziare le risorse (secondo la Terapia Basata sulle Risorse ideata da Camillo Loriedo), sul dare significato ai problemi ed ai sintomi, cercandone di comprenderne la funzione e la valenza comunicativa, all’interno dei contesti di vita significativi, in primo luogo la famiglia.

E così, anziché guardare al mio paziente adolescente come ragazzo problematico da guarire, lo considero, come suggerisce uno dei massimi esperti di terapia con gli adolescenti, Maurizio Andolfi, polo attrattivo intorno al quale ruotano i sentimenti e le emozioni di tutta la famiglia, ponte di conoscenza per ritrovare il senso del “noi” familiare e trigenerazionale.

Guardo, ad esempio, alla violenza dell’adolescente non come sintomo, non solo come agito, ma come energia da accogliere, riconoscere ed incanalare, provocazione con cui l’adolescente comunica al mondo il suo bisogno di essere accudito, contenuto, riconosciuto, atto comunicativo indiretto, implicito da trasformare in significato in un contesto protetto, occasione di crescita e coesione per tutti.

immagine di una pianta con una scritta "difficult roads lead to beautiful destination" per rappresentare il lavoro terapeutico

Con chi intraprende il percorso terapeutico?

A seconda delle situazioni, secondo l’approccio sistemico relazionale, sia nel caso in cui è un adolescente a richiedere di fare un percorso di terapia, sia nel caso in cui è un genitore a prendere l’iniziativa, ci sono due strade da percorrere e da valutare insieme alla famiglia:

  • Intraprendere una terapia familiare, ma nel caso in cui è l’adolescente a fare richiesta è più frequente e comprensibile che egli si aspetti uno spazio per sé ed è importante concederglielo;
  • Alternare incontri in individuale con l’adolescente ad incontri con l’adolescente e la sua famiglia, o con soli i genitori. Si valuta a seconda dei casi, l’importanza e l’opportunità di coinvolgere anche i fratelli. Io cerco di coinvolgerli sempre, ritenendo molto importante la relazione tra fratelli, anche quando è conflittuale.

In quest’ultimo caso si garantisce al ragazzo/a la riservatezza sui temi che preferisce non condividere con i genitori, ad eccezione di informazioni relative a situazioni di rischio per lui o per terzi, e comunque, ci si riserva, a seconda dell’argomento, di lavorare insieme a lui/lei affinché sia possibile parlarne insieme, in loro presenza.

In alcuni casi, non si escludono incontri con la sola coppia genitoriale, quando sembrano esserci temi che riguardano la coppia che non è opportuno che vengano condivisi con i figli, nel rispetto di congrui confini e gerarchie familiari.

Dott.ssa Zarcone, a che serve la psicoterapia?

Non è semplice rispondere a questa domanda, lo faccio riportando le parole scritte da una mia paziente, ai tempi di 15 anni, che lei e i suoi genitori mi hanno autorizzato a divulgare:

 

Io sono talmente ferita perché ho vissuto delle cose che mi sono rimaste dietro le spalle, come cicatrici che porti addosso, le cicatrici non se ne vanno, non fanno male come quando erano ferite aperte, ma non se ne andranno mai, non puoi stenderci un velo pietoso, devi solo imparare a conviverci. Alcune non sono profonde, mentre altre sono fin troppo profonde, che trovare l’origine sembra quasi impossibile …. A volte non ci sono risposte, quindi, perché trovarne una ad ogni costo? È come quando un bambino piccolo è nella fase dei “perché?” e dice perché a tutto, non c’è una risposta ad ogni perché, quindi, perché fare finta di avere ogni risposta? Non c’è ne sono, non c’è. Non si ha la sicurezza di nulla e di niente soprattutto”.

 

Questo mi scrisse in un messaggio Whatsapp. Non sono solita intrattenermi via messaggi con i miei pazienti, ma con gli adolescenti faccio delle eccezioni, è il loro modo di comunicare ed a volte ci si perde la possibilità di accedere ai loro vissuti profondi, come sarebbe successo in questo caso, se avessi messo un veto a Roberta (nome di fantasia) e alla sua scrittura, sua fonte espressiva prediletta.

Non so se veramente Roberta non cercasse nessuna risposta o se in quel momento di profondo sconforto stesse solo facendo una grande totalizzazione che non le facesse intravedere nessuna sicurezza. Invia, però, questo suo scritto, così intimo, così introspettivo, a me, mostrando di affidarsi, di volersi aprire ad un dialogo e paradossalmente aspettandosi una di quelle risposte che scrive “che non ci sono”! Ma l’adolescenza è complessa, lo dicevo all’inizio, è il regno delle contraddizioni, dei paradossi, dentro cui bisogna sapere navigare tenendo fermo il timone e seguendo la scia dei bisogni, delle aspettative, delle richieste “solo apparentemente” contraddittorie che l’adolescente ci pone davanti. In fondo ha solo bisogno di un argine, di una rotta, di sponde, di un faro nel buio della notte più nera, per riprendere il suo viaggio con nuove risorse, con nuove mappe, verso mete più o meno sconosciute.

Roberta avrà da me una risposta non risposta, una soluzione terza per uscire dalla situazione paradossale in cui mi pone. Aveva concluso quel messaggio scrivendo:

 

Siamo noi a rendere l’amore una cosa che ferisce, siamo noi che diamo troppo peso a tutto, diamo troppo peso al peso, troppo peso all’aspetto sia tuo che degli altri, siamo noi che pensiamo a tutto questo, ma l’amore è di più di qualche pianto, l’amore non è solo il fidanzato, l’amore è quello che si respira e, per ora, non respiro altro che fumo passivo.

 

La mia risposta:

 

Ti rispondo tutto d'un fiato così come ho letto, trattenendo il respiro insieme a te. Ovviamente non ho nessuna risposta alle domande che ti fai. Ma so che non le cerchi. Non tutte le domande vogliono una risposta. Non tutte le domande ce l'hanno. Alcune domande, soprattutto quelle più pesanti e quelle più leggere vanno solo condivise. So cosa significa non respirare. Ma so anche che in qualche modo si torna sempre a riprendere fiato”.

 

Forse la terapia non serve a dare risposte, forse ha ragione Roberta, non sempre ci sono, serve ad esserci, a stare con, a con-dividere mentre l’altro pensa di stare annegando, di non avere via d’uscita, che nessuno possa com-prenderlo o che sia disposto ad ascoltarlo senza giudizio. Non serve a ricevere consigli, o facili soluzioni, questi li abbiamo in abbondanza gratis, fuori dalla stanza di terapia e non sempre ci sono di aiuto. Il terapeuta è qualcuno che ci aiuta a vedere strade alternative, quando noi crediamo di essere in un vicolo cieco, che ci illumina la strada quando pensiamo di essere in un tunnel buio. Non conosce la strada più di noi, ma la percorre con noi con passo più certo, con mappe già segnate, condivide con noi il viaggio, non ci lascia soli, e quando credevamo di avere smesso di respirare, ci ritroviamo di nuovo a farlo e così intravediamo una nuova strada, riprendiamo il nostro percorso, con nuove mappe, ricominciamo a camminare da soli. Con lui, o con lei, reimpariamo a farlo e torniamo a respirare!

Psicologia a Palermo

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