L’adolescenza è una fase della vita molto delicata e complessa, attraversata da tante trasformazioni fisiologiche, che possono disorientare e creare molta confusione in chi le vive e in chi gli sta vicino. Approfondiamo questo argomento nel seguente articolo
Dott.ssa Enza Zarcone, quando si parla di crisi adolescenziale?
Si parla di crisi adolescenziale per indicare questo periodo ricco di rapidi cambiamenti fisici, ormonali, di sbalzi di umore, di modi di pensare, sentire, percepire la realtà, rapportarsi al mondo esterno, dei pari, ai genitori ed al mondo degli adulti in generale.
Inoltre, se in passato il gruppo dei pari rappresentava un gruppo sicuro, di appartenenza, in cui rifugiarsi, oggi, invece, crea ansia, paura del giudizio e rappresenta un esterno terrifico a cui sottrarsi, da cui fuggire, rinchiudendosi nella propria stanza, in un mondo virtuale più rassicurante, dove il contatto fisico è escluso e la relazione è “schermata”.
Il fenomeno degli Hikikomori, infatti, nato in Giappone, si fa sempre più strada nei paesi occidentali ed in Italia.
La maggior parte dei genitori che incontro in terapia pronunciano frasi come “non è più lo/a stesso/a”, “prima la porta della sua stanza era sempre aperta, adesso è impossibile entrare”, “non lo/a riconosco più, prima mi riempiva di baci e abbracci, ora non mi posso più avvicinare”.
Tutto questo allarma i genitori, unitamente, spesso, a comportamenti che differenziandosi dall’isolamento sociale vengono, invece, descritti come più marcatamente “oppositivi provocatori”, “ribelli”, “di sfida”, accompagnandosi a problemi scolastici, uso di droghe leggere, sempre associati ad abuso nell’utilizzo di cellulari, internet e videogiochi e generale mancanza di rispetto delle regole.
Chi sono gli Hikikomori?
Con il termine giapponese "Hikikomori” ci si riferisce a tutti coloro che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, alle volte anni.
Gli Hikikomori sono soprattutto giovani tra i 14 e i 30 anni e nel 70-90% dei casi si tratta di persone di sesso maschile.
È corretto associare l’adolescenza solo ad un periodo problematico o possiamo individuare delle risorse nei ragazzi?
Non bisogna associare tout court l’adolescenza a un periodo problematico, come spesso si fa, è anche una fase caratterizzata da tanti aspetti di sviluppo, da grande creatività, curiosità, spinta verso il nuovo.
Quindi, porta con sé anche l’acquisizione di nuove risorse, di nuove competenze, una tra tutte la capacità di pensiero astratto, che fa sì che i ragazzi inizino a riflettere su tutto, ad essere speculativi e filosofici, a farsi domande sul senso della vita, sul loro futuro, cosa che spesso li confonde e disorienta, ma nello stesso tempo pone le basi del loro pensiero critico, della loro capacità di iniziare a differenziarsi dall’adulto e di avviare un proprio processo di individuazione, in rapporto a sé stessi e agli altri. Si tratta di risorse importanti cui attingere, su cui far leva, anche nei casi più gravi, in un percorso di terapia volto a muovere un passo oltre le sabbie mobili del dolore e della sofferenza più profonda.
Qual è la relazione tra la crisi adolescenziale e quella genitoriale?
È inevitabile che la crisi adolescenziale, in alcuni casi, inneschi la crisi genitoriale, dal momento che i genitori si trovano insieme a dover confrontare, negoziare e modulare i lori rispettivi stili educativi per far fronte alle nuove esigenze/sfide che la nuova fase del ciclo vitale della famiglia comporta. Si assiste alla modifica dell’equilibrio dell’intero gruppo familiare, alla “trasformazione dei legami preesistenti”. I genitori si trovano, inoltre, inevitabilmente, a fare i conti con l’essere stati, a loro volta, figli e adolescenti e a rivivere, a ruoli invertiti, la stessa fase, con tutti i vissuti contrastanti e destabilizzanti, ma anche illuminanti, che questo può comportare, rivedendo sotto una nuova luce, in alcuni casi, la relazione con i propri genitori.
È innegabile che essere genitori di bambini piccoli è del tutto diverso dall’esserlo di ragazzi che crescono, comporta nuove competenze, e nuove capacità più volte ad iniziare a concedere gradualmente qualche autonomia, pur continuando a garantire protezione e controllo.
Non sono poi rari i casi in cui certe crisi di coppia tra i genitori acuiscono la fisiologica crisi adolescenziale dei figli, che a sua volta alimenta la crisi di coppia, in un circolo vizioso che porta ad uno stallo evolutivo e ad esiti più patologici.
Cosa accade quando la crisi adolescenziale fisiologica porta a situazioni più gravi?
Oggi capita sempre più spesso che siano gli adolescenti stessi che chiedono di rivolgersi allo psicologo per affrontare difficoltà, problemi che attraversano o per confrontarsi su temi di cui non si sentono di parlare con i genitori, ma che ritengono opportuno affrontare con un adulto, preferibilmente esperto. Fino a qualche anno fa, questo era impensabile. Gli adolescenti erano prevalentemente “pacchi portati”, come li definivo io, cercando di accogliere il loro stare scomodi su quella sedia, difronte a me. Per fortuna oggi, si è diffusa sempre più la cultura psicologica nel nostro paese e i più giovani, soprattutto, hanno chiaro il ruolo e la funzione dello psicologo.
Il Covid-19 ha contribuito ad accrescere esponenzialmente la domanda di psicologia tra i cittadini e dobbiamo dire “purtroppo”, dal momento che questo significa che si sono moltiplicate le situazioni di disagio, sofferenza psichica, depressione, disturbi d’ansia con o senza attacchi di panico, chiusura relazionale, abuso di sostanze, dipendenze tecnologiche, tentati suicidi, disturbi alimentati.
Tra le forme di disagio si diffonde sempre più, soprattutto tra i più giovani il cutting, ovvero una forma di autolesionismo, non suicidario, deliberata, ripetuta nel tempo, consistente nel procurarsi ferite sulla pelle, generalmente di gambe e braccia, tagliandosi con lamette, coltelli, temperini, ecc. Non c’è una spiegazione univoca a tale comportamento, ogni storia va analizzata a sé, sembra comunque che un tratto comune sia il tentativo di dare espressione al dolore mentale ed emotivo che non ha voce e non trova “orecchie”, attraverso quello fisico. Una comunicazione estrema, attraverso l’immagine di un corpo sfregiato ed il tentativo maldestro di nasconderlo, del proprio bisogno d’aiuto e contemporaneamente, attraverso il dolore fisico, il tentativo vano di soffocare un’angoscia profonda, almeno fino al prossimo taglio.
Tengo comunque a precisare che sono sempre cauta nell’utilizzare etichette diagnostiche nel caso degli adolescenti, minori ancora in via di sviluppo, per i quali non si può ancora sapere se certe manifestazioni emotive e comportamentali non siano legate alla specifica fase di vita che stanno attraversando o se si struttureranno in un disturbo conclamato. Pur collaborando, in alcuni casi, con il neuropsichiatra infantile che, dal canto suo, procede anche ad un inquadramento diagnostico, e, se necessario, ad una prescrizione farmacologica, mi focalizzo soprattutto sulla parte sana da potenziare, sulle risorse e sulle relazioni funzionali da incrementare.
In queste situazioni di disagio più grave, comunque, non sempre i ragazzi riescono a chiedere spontaneamente aiuto, spesso si tratta di situazioni limite in cui sono gli adulti, i genitori o gli insegnanti a segnalare il problema, a rivolgersi ai servizi pubblici, a volte, nei casi più gravi, direttamente, con accessi in pronto soccorso. Solo in un secondo tempo questi adolescenti possono giungere all’osservazione dello psicologo-psicoterapeuta privato che dovrà intervenire attraverso un approccio integrato, in collaborazione con il neuropsichiatra infantile e coinvolgendo naturalmente sempre la famiglia. In questi casi il primo passo sarà costruire una buona alleanza terapeutica con l'adolescente, guadagnandosi passo dopo passo la sua fiducia.
Per approfondire il tema sull’alleanza terapeutica leggi il seguente articolo della Dott.ssa Zarcone: "La psicoterapia con gli adolescenti e con i loro genitori".